Genova, 13 ott – Mai come in questi giorni la Città della Lanterna è stata sotto i riflettori. Mentre il genovese Beppe Grillo dal Circo Massimo lanciava i suoi strali contro il sistema, Genova affondava in un mare di fango. Da venerdì scorso bombe d’acqua hanno devastato il capoluogo ligure, facendo circa 200 milioni di euro di danni. Chi poteva prevedere che tanta pioggia scorresse tra i carruggi genovesi? Non servono grandi studiosi per rispondere a questo dilemma. Bastava farsi un giro in qualche bar. Sembrerà strano ma è proprio così. Facciamo un passo indietro. Il torrente Bisagno spesso gioca brutti scherzi alla città doriana. Sei morti tre anni or sono e danni per circa un miliardo di euro. Nulla certo, in confronto all’alluvione del 7 ottobre del 1970. Le piogge caddero per 48 ore provocando le esondazioni del Bisagno. Le vittime furono 44, tra morti e dispersi. Oltre due mila gli sfollati. Genova, come altre città del Bel Paese, ha bisogno di avviare dei lavori pubblici per evitare dissesti idrogeologici.
Sembra la scoperta dell’acqua calda. Però nonostante l’emergenza, i politici italiani continuano a passarsi la palla senza che nessuno abbia il coraggio di tirare in rete.
Vediamo perché. Intanto definiamo il concetto di dissesto idrogeologico. Secondo Legambiente: “ Questo fenomeno è l’insieme di quei processi (dall’erosione alle frane) che modificano il territorio in tempi relativamente rapidi o rapidissimi, con effetti spesso distruttivi sulle opere, le attività e la stessa vita dell’uomo. Abusivismo edilizio, estrazione illegale di inerti, disboscamento indiscriminato, cementificazione selvaggia, abbandono delle aree montane, agricoltura intensiva. Circa due Comuni su tre, infatti, hanno nel proprio territorio abitazioni in aree di golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana. In un terzo dei casi si tratta addirittura di interi quartieri”. Genova, dunque, è solo un caso tra tanti.
Serve, perciò, una corretta manutenzione del territorio prevedendo interventi mirati. E allora perché a Genova non si sono adoperati in questi anni per risolvere il problema del torrente Bisagno?
La querelle si trascina dal 2011. Dopo la gara d’appalto per l’assegnazione dei lavori di bonifica, qualcuno ha detto che l’arbitro s’era sbagliato. L’azienda che è arrivata seconda, infatti, ha fatto ricorso al Tar Liguria secondo il quale la gara gridava vendetta e andava rifatta. La Regione, da parte sua, ricorre al Consiglio di Stato, che gli dà ragione. Sentenza a favore replicata quattro mesi fa dal Tar del Lazio, che da qualche settimana ne ha divulgato le motivazioni. L’ingranaggio burocratico si è inceppato.
Ma non è un caso. È necessario mettere sul banco degli imputati il processo decisionale della multi level governance in cui ogni amministratore locale può imporre il suo veto. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: le opere pubbliche rimangono eterne incompiute.
Non va dimenticato, inoltre, che l’Italia deve fare i conti con i vincoli di bilancio capestro che abbiamo firmato con l’Ue. Per venire fuori da questo circolo vizioso dobbiamo far leva sulla nostra sovranità. Non è una battuta. Gli strumenti ci sono.
Nessuno ci vieta di rilanciare le grandi opere pubbliche per modernizzare il paese, tra le quali il riassetto idrogeologico, la tutela dei monumenti e dell’ambiente. Rimane un quesito. Chi paga?
Un esempio su tutti. La necessaria liquidità può essere trovata costituendo un fondo pubblico chiuso con la garanzia di beni statali. A gestirlo sarebbe la Presidenza del Consiglio o in alternativa il Ministero delle Infrastrutture. Da un punto di vista contabile ne trarremo sicuro beneficio. Insomma, ripariamo l’impianto idraulico prima di vedere la nostra casa allagata. È vero, troppe clientele rimarrebbero a bocca asciutta. Il politico deve mangiar e far mangiare. In fondo, anche nella Repubblica 2.0 di Matteo Renzi vale quello che diceva Gaetano Salvemini a proposito dell’Acquedotto Pugliese: “Ha dato più da mangiare che da bere”.
Salvatore Recupero