Roma, 21 feb — Era partita come una delle tante «aggressioni omofobe» con relativo e consueto battage mediatico inneggiante all’«allarme omofobia», ma come di consueto l’allarme si è sgonfiato come un sufflé malcotto: il caso riguarda una coppia di conviventi, formata da due ragazze di 22 e 29 anni che avevano denunciato di essere state aggredite da due vicini di casa, padre e figlio, perché lesbiche. Secondo quanto riportato da Prima Novara, è spuntato un video che testimonierebbe come, in realtà, non si sarebbe trattato di un’attacco fisico nei confronti delle ragazze in quanto omosessuali ma di una rissa innescata proprio dalle due.  

Ma quale attacco omofobo, le due lesbiche hanno iniziato la rissa

Le due lesbiche coinvolte si erano subito giocate la carta del vittimismo cercando di addossare ogni responsabilità agli altri partecipanti per le solite note «motivazioni di odio». All’epoca, con tutto il clamore mediatico che ne era risultato, l’avvocato Maurizio Antoniazzi aveva addirittura chiesto di valutare l’ipotesi di tentato omicidio di una delle due giovani che aveva avuto la peggio. La ragazza aveva infatti ricevuto un calcio sferratole in testa che le era valso il ricovero in ospedale e una prognosi di 30 giorni per la frattura di un’orbita e del setto nasale. A detta della coppia, gli screzi con padre e figlio erano cominciati molto prima della rissa: risalivano, sempre stando a quanto dichiarato dalle due, a tre anni prima, quando si erano trasferite nello stabile di edilizia popolare. 

Spunta anche un coltello 

Le indagini hanno ridimensionato il caso. Innanzitutto tutti e quattro i protagonisti rispondono in concorso di rissa proprio grazie al video emerso nel corso degli accertamenti. inoltre, una delle due ragazze lesbiche, ben lungi dal potersi dichiarare indifesa, è stata denunciata per porto di coltello. Dichiara Antoniazzi a NovaraOggi: «Il giudice vuole sentire i testi in aula, sia io sia il collega Fazio avevamo la volontà di chiudere prima, di metterci una pietra sopra».

Cristina Gauri

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Classe 1977, nata nella città dei Mille e cresciuta ai piedi della Val Brembana, dell’identità orobica ha preso il meglio e il peggio. Ex musicista elettronica, ha passato metà della sua vita a fare cazzate negli ambienti malsani delle sottoculture, vera scuola di vita da cui è uscita con la consapevolezza che guarire dall’egemonia culturale della sinistra, soprattutto in ambito giovanile, è un dovere morale, e non cessa mai di ricordarlo quando scrive. Ha fatto uscire due dischi cacofonici e prima di diventare giornalista pubblicista è stata social media manager in tempi assai «pionieri» per un noto quotidiano sabaudo. Scrive di tutto quello che la fa arrabbiare, compresi i tic e le idiozie della sua stessa area politica.

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