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Persino al “Fatto” lo riconoscono: l’utero in affitto è un disastro emotivo

by Giorgio Nigra
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uteroRoma, 5 feb – Al Fatto quotidiano va indubbiamente riconosciuta la coerenza di chi, avendo una linea editoriale netta e perseguita con devozione quasi fanatica, conserva tuttavia un lodevole pluralismo sul proprio sito, grazie al sistema dei blog affidati a vari esponenti della “società civile” dei più diversi orientamenti. Capita quindi che, nella stessa giornata, sulla home del quotidiano, si possano leggere capolavori dell’insinuazione, come il pezzo di killeraggio contro Giovanni Corsello, il presidente della società italiana di pediatria che ha bocciato l’omogenitorialità, ma anche pareri diametralmente opposti nella colonna di sinistra del sito. Il primo è un tipico esempio di articolo da Fatto quotidiano: una sorta di “biografia non autorizzata” del dottore colpevole di pensiero non allineato, in cui nulla di penalmente o moralmente rilevante viene detto a proposito di Corsello, ma in cui si allude obliquamente a protezioni politiche e legami torbidi: il pediatra non ha forse avuto “un curriculum brillante, un cursus honorum fulmineo, una carriera veloce e irreprensibile” “nella Sicilia di…” all’epoca di…” “all’ombra di…”?.

Mentre i codici di deontologia dei giornalisti si suicidano per autocombustione, nella già citata colonna di sinistra leggiamo un intervento del medico psicanalista Luciano Casolari. Dopo aver ricostruito brevemente il dibattito in corso sull’omogenitorialità, e facendo notare che pediatri e psichiatri, presentati come di opposte visioni, in realtà “dicono la stessa cosa e cioè che allo stato attuale della conoscenza scientifica non vi sono dati sufficienti per affermare che vi siano o non vi siano gravi problemi per un bambino allevato da una coppia omosessuale”, Casolari dichiara di seguire sull’argomento la massima di Ludwig Wittgenstein: “Su ciò di cui non si può parlare meglio tacere”. Giusto, ma andrebbe aggiunta una postilla: “Su ciò di cui è meglio tacere non si dovrebbe legiferare”.

Lo psicanalista, tuttavia, non tace sulla pratica dell’utero in affitto, che viene invece bocciata senza appello: “La ricerca psicoanalitica – spiega – ha ormai ampiamente documentato come la relazione durante la gravidanza non sia solamente di natura fisica ma anche e di grande importanza di tipo emotivo. La pratica dell’utero in affitto rompe artificialmente e in modo traumatico una relazione emotiva in un momento cruciale con seri rischi per la sanità mentale della donna e del bimbo. Svariati sono i casi di pazienti in cura che hanno avuto il trauma della morte della madre alla nascita o di madri che per qualche motivo hanno perso un figlio che hanno riportato rilevanti conseguenze psicologiche. Nel caso dell’utero in affitto il trauma sarebbe ancora più rilevante in quanto la madre non solo è persa ma psicologicamente ti ha rifiutato o abbandonato e il genitore adottivo è il suo carnefice mentre per la donna emergerebbe l’immagine mentale di essere una madre crudele. La pratica dell’utero in affitto da un punto di vista scientifico è quindi da osteggiare”. Lo psicanalista aggiunge anche quelle che, a parer suo, potrebbero essere le soluzioni da adottare: “Alcuni accostano il rifiuto della pratica dell’utero in affitto, illegale in Italia, con l’adozione del figlio del partner. Basterebbe, per evitare di incentivare questa attività, mettere nella legge una norma che vieti l’adozione di un bimbo concepito in questo modo o comunque l’obbligo di indirizzarlo verso l’adozione di terze persone secondo la lista delle famiglie in attesa”. Ora il Fatto farà un’inchiesta anche sulle amicizie del suo collaboratore?

Giorgio Nigra

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2 comments

Paolo 5 Febbraio 2016 - 3:33

Pensare che, alla fine di tutto, si tratta solo di Buon Senso…

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Stefano Vaj 6 Febbraio 2016 - 4:35

E’ bello essere in disaccordo su qualcosa ogni tanto. In questo caso sia dal punto di vista “valoriale” che “fattuale”.   Allora, tanto per cominciare l'”utero in affitto” tecnicamente è la gestazione di un bambino da parte di una madre diversa da quella biologica. *Questa* è la novità resa possibile dalla tecnologia, e da salutare con assoluto favore come qualsiasi pratica utile a sostenere la demografia europea, certo più dei “parti involontari” che il proibizionismo o le difficoltà in materia di aborti o contraccettivi si ipotizza dovrebbero conservare. Cielo, scrive qualcuno, ma questo “spezza il legame indissolubile che si stabilisce tra feto e gestante durante la gravidanza”. Ora, che questo sia un puro MITO è facilmente desumibile dal fatto che la nostra specie *non ha il riconoscimento innato neppure della propria prole* (e perciò a maggior ragione di quella altrui semplicemente “ospitata”), tanto che precauzioni vengono appositamente prese nelle nursery per prevenire sostituzioni di neonati che in difetto potrebbero non essere scoperte che dopo anni. O mai. Ma, ci si dice ancora, lo sfruttamento economico dell’utero femminile da parte di chi ha i mezzi per pagarlo è comunque odioso. Ora, a parte il fatto che questo escluderebbe solo una parte degli scenari possibili di “maternità surrogata” (è vietato vendere aborti, ma gli stessi possono essere ottenuti su un piede di parità tramite il servizio sanitario nazionale; è vietato vendere il sangue, ma nulla impedisce di donarlo), risulta incomprensibile la ragione per cui qualsiasi politica al riguardo non dovrebbe ricomprendere allo stesso titolo le braccia del bracciante, le mani del manovale impiegato in una fabbrica capitalista, o le mammelle di una balia (che – questa sì! – sviluppa eccome un legame indissolubile con il neonato, ma cui nessuno vieta di fare il suo lavoro o del resto consente di tenersi il bambino richiesto “in restituzione” da parte di una madre biologica che magari non se ne è mai occupata). Infine, per ciò che riguarda la stepchild adoption della coppia gay: quante sono davvero le probabilità che una coppia di uomini debba ricorrere ad una maternità surrogata, quando la cosa più semplice, e legalmente possibile *da sempre*, è che uno dei due metta incinta, naturalmente o artificialmente, una tizia qualsiasi con l’intesa che la stessa non riconosca il figlio dopo il parto? Perché mai dovrebbero usare l’ovulo di una donna diversa da quella che provvede alla gestazione, dato che loro sono impossibilitati a fornirne uno, e che un servizio “chiavi in mano” per loro ha solo vantaggi e nessun inconveniente?

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