Belluno, 21 apr – “La montagna per essi non è più novità d’avventura, né romantica evasione, né sensazione contingente, nè eroismo per l’eroismo, né sport più o meno tecnicizzato. Essa si lega invece a qualcosa, che non ha principio né fine e che, conquista spirituale inalienabile, fa ormai parte della propria natura, come qualcosa che si porta con sé ovunque a dare un nuovo senso a qualsiasi azione, a qualsiasi esperienza, a qualsiasi lotta della vita quotidiana”. Così Julius Evola nel suo “Meditazioni delle Vette” individuava le ragioni filosofiche che legano l’uomo della tradizione, l’uomo dritto tra le rovine, alla montagna. Un legame spirituale prima che materiale, un senso di rispetto per quello che la montagna rappresenta: il legame con il divino, la trascendenza della coscienza umana che si oppone al mondo moderno decadente che ha perso il senso del sacro, la ricerca dei propri limiti ed il superamento di essi a riaffermare l’eroismo insito nell’uomo. La montagna pertanto è sacra, nel senso di separata dal profano, attinente al divino.
Non la pensano così il sindaco di Auronzo di Cadore (Bl) ed il Prefetto, che in questi giorni hanno rilasciato i permessi alla troupe cinematografica di “Guerre Stellari” di girare delle scene dell’ultimo episodio della saga (intitolato “The red cup”) sulle Tre Cime di Lavaredo, per l’esattezza sul Monte Piana. Le riprese si terranno a maggio, tra il 5 ed il 12, e prevedono che sia addirittura montato un “campo base” in quota per le 200 persone componenti la troupe di Hollywood. Ovviamente tutta l’area sarà strettamente interdetta al pubblico e pertanto, durante la settimana di riprese, sarà totalmente inaccessibile. La cosa in sé non ci disturberebbe tanto: le nostre montagne sono già, purtroppo, “massificate” e rese attrazione turistica, spesso con vero e proprio scempio delle stesse, ed una installazione temporanea come questa sarebbe meno impattante di un impianto di risalita o di un elicottero che porta gli sciatori in cima durante la stagione invernale. Queste però non sono montagne qualsiasi: in quella splendida cornice che sono le Tre Cime di Lavaredo, 100 anni or sono passava un confine… un confine che ci separava dal Regno Austroungarico e che era teatro di un conflitto sanguinoso. La Prima Guerra Mondiale ebbe, tra queste cime, picchi di eroismo e ardimento che richiesero un pesante tributo di sangue da entrambe le parti: a migliaia infatti si contaro le vittime proprio nella zona del Monte Piana, dove verranno effettuate le riprese. Quella zona pertanto, così come il resto della catena alpina dove più si combatté e dove ancora giacciono i nostri soldati e quelli austriaci, è da considerarsi un Sacrario Militare naturale e quindi un luogo degno di rispetto al pari di un cimitero di guerra; un luogo sacro appunto, non solo perché qui morirono degli uomini, ma perché quegli uomini diedero la vita per un valore supremo e universale, che dovrebbe ancora oggi essere considerato fondante per tutta la comunità: la Patria.
Ormai è tardi per poter fare qualcosa, i permessi sono già stati dati e siamo convinti che né Comune né Prefettura intenderanno mai ritornare sui propri passi: troppi sono gli interessi economici in ballo dato che la produzione avrà sicuramente sborsato un notevole contributo pecuniario per il “disturbo”. Ci resta quindi il rammarico di vedere le nostre montagne doppiamente vilipese da chi dovrebbe tutelarle non solamente sotto un livello pratico, “ambientale”, ma perché rappresentano un patrimonio storico e valoriale della memoria collettiva di un Paese.
Vittorio Sasso
1 commento
Trovo più che giuste le considerazioni sulla sacralità delle Montagne, dimore degli Dei, se non loro stesse divinità.
Non amo molto quel libro di Evola, che esagera sempre nei suoi concetti aristocratici, per lui la montagna dovrebbe essere accessibile solo a pochi eletti come lui e preclusa ai plebei che non possono coglierne, secondo lui, la sacralità.
Se gli Dei lo vorranno, sapranno come punire quei sudici produttori cinematografici e chi gli ha svenduto l’accesso a quel Sacro luogo.