Roma, 2 feb – Si sta tenendo oggi presso la Farnesina il vertice dei Paesi più impegnati nella lotta contro l’Isis.
Presenti i rappresentanti di 23 Paesi tra cui il Segretario di Stato americano John Kerry ed il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. Sarà quindi una occasione per gettare i nuovi piani di contrasto al Califfato Islamico e di rafforzare le intese diplomatiche volte a questo scopo. L’incontro, il terzo dopo quelli di Londra e Parigi tenutisi l’anno scorso, nasce soprattutto dall’esigenza di trovare un punto comune per la prossima apertura del nuovo fronte in Libia, divenuto sempre più importante ai fini della lotta all’Isis dopo l’intervento in Siria della Russia e dell’Iran che con il loro supporto militare stanno attivamente contribuendo alla sua sconfitta in quella parte del Medio Oriente.
La questione, come sottolineano Kerry ed il Ministro degli Esteri Gentiloni, non è solo militare ma “umanitaria” ed in questo senso Gentiloni ha incontrato l’inviato speciale dell’Onu per la Siria Staffan de Mistura. Con lui ha fatto il punto “sullo stato del percorso che è stato avviato con i due incontri di Vienna” e che punta a “far partire un negoziato e, contemporaneamente, ad avviare un cessate il fuoco” in Siria. Sul dossier Siria l’amministrazione Obama ha, in particolare, apprezzato gli sforzi diplomatici italiani nel riunire ad uno stesso tavolo paesi rivali come Arabia Saudita e Iran. L’Italia parla con tutti, spiegano fonti diplomatiche, e questo è un enorme vantaggio rispetto ad altri paesi della coalizione come, ad esempio, la Francia. Le trattative per il raggiungimento di un cessate il fuoco in Siria hanno infatti portato nelle scorse settimane al rilascio di 35 esponenti della ribellione anti-Assad detenuti ad Homs. “Ci aspettiamo una base fondamentale per avviare il negoziato tra opposizioni e regime” ha dichiarato Gentiloni aggiungendo che “il ruolo che svolge l’Arabia Saudita in questo momento può essere molto importante”. Questo però, lo sottolineiamo, al netto delle considerazioni sull’ultimo sanguinoso attenato di matrice wahabita avvenuto a Damasco nei giorni scorsi che ha avuto come bersaglio il quartiere sciita.
Ma l’ordine del giorno principale alla Farnesina sarà la Libia, qui Washington ripone molta fiducia nelle nostre capacità diplomatiche e militari per per gestire la crisi nel paese nordafricano. Più volte infatti l’amministrazione Obama ha invitato il nostro Paese, anche con appelli che sono suonati come dei diktat, ad un intervento nella nostra ex-colonia; intervento che, nella più italica delle tradizioni del dopoguerra, è al vaglio del Governo soprattutto per quanto riguarda la legittimizzazione da parte dell’autorità costituita libica nella fattispecie il neonato Governo di Unità Nazionale, che però non sembra godere del necessario consenso da parte delle diverse realtà tribali in cui è frammentata la Libia, rischiando quindi di essere una mera struttura fantoccio priva di ogni autorità, e per questo passibile di essere usata come una forte “arma” di propaganda da parte del Califfato in caso di intervento armato.
La strada per la normalizzazione della Libia è quindi cosparsa di insidie e rischia di diventare un vero e proprio “cul de sac” qualora si realizzasse il peggiore degli scenari possibili, ovvero la frammentazione del fragile Governo di Unità Nazionale. Lo stesso Kerry ha sottolineato come sia un “opportunità reale” di risolvere la crisi anche se la strada resta “impegnativa” e “il successo non e’ assicurato”. A questo va aggiunta la mancanza ancora di una strategia comune a tutti i Paesi, Russia compresa, oltre che problemi politici interni, tutti italiani, che potrebbero mettere dei paletti non indifferenti (ad es. sulle regole di ingaggio) che inficerebbero l’esito positivo della missione militare: tematiche che ci auguriamo vengano risolte nel corso del vertice che si sta tenendo alla Farnesina.
Paolo Mauri