Roma, 7 dic – I gendarmi dei lockdown si sono accorti, con quasi tre anni di ritardo, che lockdown e restrizioni forzate sono un dramma sociale. Meglio tardi che mai, si dirà. Epperò c’è un però, perché l’agrodolce parabola della Cina dovrebbe servire da lezione anche al di fuori dei confini un tempo segnati dalla Grande Muraglia. Come una ventata di aria fresca atta a schiarire le idee a chi, nel democratico Occidente, quelle misure restrittive le aveva a lungo idolatrate. Paradossale giravolta, nelle ultime settimane gli incensatori delle chiusure in Italia e in Europa, hanno menato fendenti contro l’autocratico governo di Pechino che insisteva nel recludere i cittadini.
La Cina di casa nostra: c’era una volta il fan dei lockdown
Già, la cosiddetta politica “Zero Covid” attuata dai cinesi risulta ormai incomprensibile anche alla grancassa mediatica un tempo, non troppo lontano, da queste parti pronta a denunciare uno starnuto all’orizzonte. “Non è come prima, il Covid non fa più paura, circola sempre ma in forma attenuata”, replicherà l’arguto commentatore, consapevole di essere stato uno zelante vigilante ai tempi della “grande paura”. La verità è che la prigione, prima o poi, diventa insopportabile anche per i secondini. Le sbarre prendono l’odore della ruggine, l’aria si fa irrespirabile, e prende campo l’implacabile impronta di un fallimento esistenziale da scongiurare. Così, chi si illudeva che l’uomo avrebbe cambiato “stile di vita”, cullandosi tra smart working, cibo a domicilio e realtà virtuale, non aveva fatto i conti con la naturale necessità umana di scalpitare. Il mito del “non tocco” è crollato di fronte alla riapertura di un bar, di un pub, di un ristorante, in qualsivoglia anfratto del globo.
In Cina, è semplicemente accaduto il contrario, l’espansione economica ha generato un ceto medio inesistente fino ai primi anni Novanta, ha accelerato lo sviluppo della tecnologia, ha aperto al mondo una popolazione fino ad allora imprigionata in un’altra gabbia avvolta dal torpore. Prova ne siano lo sconcerto per le immagini, censurate dalla tv pubblica cinese, dei tifosi senza mascherine negli stadi del Qatar. Potremmo azzardare, di conseguenza, un’ipotesi: se le misure repressive per azzerare i contagi fossero state attuate trent’anni fa, i cittadini cinesi non avrebbero battuto ciglio. Eppure anche lì avrebbe prevalso, alla fine, il suddetto “fattore durata”. Perché un conto è sopportare per mesi, un altro accettare tacitamente una reclusione lunga tre anni. Non c’è ipocondria indotta che tenga, l’uomo torna sempre uomo. Ovunque.
Eugenio Palazzini