111
Genova, 27 lug – Una ragazza di venticinque anni riceve sul suo telefono un messaggio Whatsapp da un numero non presente nella sua rubrica contatti e per giunta con un prefisso non italiano. C’è di più: la ragazza nota un altro particolare e cioè che l’immagine del profilo Whatsapp del numero sconosciuto ritrae una donna che impugna un mitra in posizione da tiro. La venticinquenne decide di rivolgersi alla Polizia postale che riesce a ricostruire il quadro d’indagine.
Tre mesi prima, la ragazza che ha sporto denuncia, aveva prestato il suo telefono cellulare ad un marocchino residente in una struttura concessa ai richiedenti asilo provenienti dall’Africa che a sua detta avrebbe avuto la necessità di contattare i suoi conoscenti del paese d’origine. Fatta salva l’eventuale buona fede di una ragazza che frequenta per “scopi umanitari” un centro d’accoglienza, ci sarebbe da riflettere sul perché, chi e come abbia concesso una struttura a “profughi” provenienti dall’Africa dove cioè non ci risultano essere zone di guerra legate al terrorismo jihadista (eccezion fatta per una zona della Nigeria dove imperversa Boko Haram). In tutti i casi la Polizia ha arrestato in provincia di Savona due stranieri, denunciandone un terzo, nell’ambito di una più vasta indagine antiterrorismo condotta dalla Procura Distrettuale Antiterrorismo di Genova. I tre marocchini, tra i 27 e i 44 anni, sono in Italia da anni e, a loro carico, pendono precedenti per spaccio di sostanze stupefacenti, lesioni personali e falso.
Dalle indagini è emerso che i tre indagati hanno legami nel campo del proselitismo all’autoproclamato Stato Islamico. Di fatto, la Procura Distrettuale Antiterrorismo di Genova, ha disposto le perquisizioni presso i domicili dei tre marocchini. Qui sono stati trovati e sequestrati telefoni cellulari che saranno ora sottoposti ad analisi tecniche più approfondite ma che avrebbero già evidenziato la presenza di ulteriori profili e siti in lingua araba utilizzati dagli indagati, adesso al vaglio degli investigatori. C’è di più: sono stati rinvenuti diversi grammi di cocaina, circa cinquemila euro in contanti, bilancini per la droga e una decina di documenti con identità italiane. Gli inquirenti stanno valutando l’ipotesi della contraffazione degli stessi che, per ora, non risultano rubati a terzi.
In sintesi, e amaramente, i punti sono sempre gli stessi: chi e come ha fatto entrare questi “profughi” in Italia? (la domanda è chiaramente retorica); a chi è stato dato in gestione il centro nel quale era ospitato uno degli arrestati? (e qui potremmo andarcene per un’idea); perché se abbiamo delle avvisaglie di pericolo terrorista anche in Italia non rispediamo indietro quantomeno gli immigrati irregolari e smettiamo di andare a prenderli fin su le coste libiche? Purtroppo, anche in quest’ultimo caso potremmo abbozzare una risposta. E non è di certo rassicurante.
Aurelio Pagani