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1984 sei tu: Gabriele Adinolfi rilegge George Orwell nel nuovo saggio di Altaforte Edizioni

by Lorenzo Cafarchio
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1984 Adinolfi, Orwell

Milano, 7 lug – La pandemia ha rinchiuso l’uomo in un’opera di ingegneria sociale. Una sorta di The Truman show dove ognuno di noi interpreta Jim Carrey nei panni di Truman Burbank. Ed è qui che la distopia orwelliana ci appare quanto mai puntuale. A settantuno anni della dipartita di George Orwell, all’anagrafe Eric Arthur Blair, la casa editrice Altaforte Edizioni è in procinto di pubblicare – la data di uscita è fissata per martedì 13 luglio – il volume Gabriele Adinolfi rilegge Orwell. 1984 sei tu (22,00€, 248 pag.). Il saggista romano, direttore del quotidiano online noreporter.org e caporedattore della rivista Polaris, accompagna, coadiuvato dalla prefazione di Giuseppe Scalici e dalla postfazione di Francesco Ingravalle, il lettore nei meandri del dominio del Grande Fratello guidando, nell’interpretazione degli impulsi che riceviamo, la percezione controcorrente rispetto al potere dispotico su scala globale. Perché il mondo nel quale viviamo e che Adinolfi ci descrive, attraverso Orwell, è quello che vede una dittatura capace di mettere in discussione anche le basi della democrazia.

Quale 1984? Così Adinolfi rilegge Orwell

Come leggiamo nella ricca prefazione secondo Bernard Crick, biografo di Orwell, si “riteneva che già le masse fossero ipnotizzate e manipolate dalla stampa scandalistica e pornografica, per cui 1984 – dato alle stampe nel 1949, ndr – poteva rappresentare la constatazione di processi già attivi anche se non del tutto portati a compimento nel mondo del capitalismo avanzato”. Davanti a questa continua manipolazione delle menti Crick sostiene che l’autore britannico “fosse sostenitore di una ‘terza via’ europea, alternativa alle due superpotenze all’epoca egemoni”. Un percorso, quello di Adinolfi, che nelle amare profezie orwelliane ci conduce alla lucidità del pensiero che si frappone al disincantato radicalismo democratico. Numerosi gli approfondimenti che lambiscono Nietzsche, Guénon, Evola e Jünger. Soprattutto l’uomo delle tempeste d’acciaio lancia, attraverso Il trattato del ribelle, un monito verso chi cerca, spasmodicamente, nel passato risposte che non possono esserci: “Non si ritorna indietro verso il mito, il mito lo si incontra di nuovo quando il tempo vacilla sin dalle fondamenta, sotto l’incubo di un pericolo estremo”. Pericolo estremo che risponde al verbo del mondo immerso nel progresso.

Un saggio poderoso che non fa sconti nemmeno allo scrittore inglese

Un tragitto ad ostacoli dove il vero avversario (1984 sei tu!), quello più subdolo, è l’immagine che proiettiamo dentro lo specchio. Ingravalle infatti ricorda: “Già per Platone ‘il primo nemico sei tu’, nel senso che ‘in te’ alberga l’’anima desiderante’ e l’anima timica che si oppongono entrambe, sia pure in modo diverso, a ogni disciplinamento, il ‘principio del piacere’ e ‘il piacere della lotta’, come antagonisti del lògos, l’’anima razionale’”. Un saggio poderoso e denso che non fa sconti nemmeno al venerato George Orwell. Perché fondamentalmente, ci ricorda Adinolfi, il ribelle deve incarnarsi in una catarsi assoluta verso l’anarca. Così come scrisse Jünger che “in straordinaria contemporaneità con 1984, è impressionante notare come egli abbia posto l’accento sull’uomo, sulla combattività, e su quello che va fatto per non cedere alla nientificazione che in Orwell si conclude invece con una capitolazione totale e assoluta”. Un testo per tornare alle radici del mito, in una battaglia di libertà che mai come oggi mostra il profondo abisso verso il quale il Grande Fratello ha introiettato il globo.

Lorenzo Cafarchio

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