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Henri de Man: il fronte del lavoro contro il muro del denaro

by Corrado Soldato
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De Man

A Parigi, nel luglio 1933, i lavori del XXX congresso della Section française de l’Internationale ouvrière (il partito socialista francese) si svolsero in un clima tutt’altro che sereno. Ad angustiare i congressisti non erano solo i recenti fatti d’oltre Reno (l’ascesa al potere di Hitler in Germania), ma anche la divisione del partito tra la componente ortodossa di Léon Blum e quella néo-socialiste di Marcel Déat: una corrente che, in odore di eresia per il suo «socialismo nazionale», avrebbe poi abbandonato la Sfio per confluire nel Partito socialista di Francia.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di luglio 2022

Fu così che quando Adrien Marquet, esponente néo, auspicò dalla tribuna congressuale che il socialismo diventasse «un partito dell’ordine, dell’autorità, un partito nazionale», Blum lo interruppe esclamando – così riferiscono le cronache – «Je suis épouvanté» («Sono spaventato»). La reazione dello storico leader socialista era genuina, e dipendeva dalla sua radicata impressione che il gruppo di Déat, invece di contrastare il fascismo (iperonimo che all’epoca includeva, senza troppo badare alle sfumature, sia il «primigenio» fascismo italiano sia il nazismo tedesco), tendesse piuttosto ad assomigliargli.

Un socialismo per tutta la nazione

L’episodio, emblematico della spaccatura interna alla gauche transalpina, restò impresso nella memoria di molti socialisti, non solo francesi. Esso è per esempio riportato in Après coup, l’autobiografia del belga Henri de Man di recente pubblicata in italiano – con il titolo A cose fatte. Memorie di un «socialista nazionale» – dalla casa editrice Altaforte. La situazione del Parti ouvrier belge (membro, come la Sfio, dell’Internazionale socialista) non era troppo dissimile da quella dei cugini francesi, e infatti De Man ricorda il cruccio di Émile Vandervelde, allora presidente del Pob, per la minaccia all’ortodossia marxista costituita da certe dottrine che gli incutevano paura, come quelle di Déat e dei suoi sodali, in Francia, impaurivano Blum.

Il planismo di Henri de Man

In Après coup, la citazione dell’aneddoto su Blum non era casuale. Le teorie che Vandervelde riteneva minacciose, infatti, erano proprio quelle sostenute da De Man – ed esse, per inciso, andavano sovente a braccetto con le idee di Déat. La vexata quaestio riguardava in particolare il planismo, una teoria socialista – ma non più marxista – desunta dal demaniano Plan du Travail (Piano del Lavoro): un progetto di intervento statale contro la crisi economica approvato dal Congresso del Pob nel 1933 e rifinito, nei suoi postulati teorici e nelle sue implicazioni politiche, dalle tesi proposte l’anno successivo al congresso internazionale socialista di Pontigny. Concepito per fronteggiare la depressione dei primi anni Trenta combinando – in modo non dissimile dalle politiche dell’Italia fascista e dell’America del New Deal – dirigismo statale e misure di spesa pubblica a sostegno dell’occupazione, il planismo proponeva un…

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