Roma, 7 apr – Asso dell’aviazione italiana e medaglia d’oro al valore militare nel contesto della Grande Guerra, esattamente 108 anni fa nei cieli di Gorizia la prima vittoria arrideva al pilota romagnolo Francesco Baracca.
Il cavallino rampante
All’asso degli assi, nato a Lugo nel maggio 1888, dobbiamo l’emblema, simbolo di italianità, del cavallino rampante. Lo stemma che oggi in tutto il mondo identifica il rosso Ferrari fu infatti “donato” dalla madre dell’aviatore ad Enzo, fondatore della famosa casa automobilistica (e relativa scuderia). Correva l’anno 1923, il figlio era caduto in combattimento – dopo aver collezionato un totale di trentaquattro successi aerei – da ormai un lustro. Secondo la tesi più accreditata, la raffigurazione propria del Reggimento “Piemonte Reale”, prestigioso reparto riconoscibile per il ritto equino dalla coda abbassata, venne scelta dal nostro come stemma personale tra il finire del 1916 e l’inizio dell’anno successivo. Inizialmente argenteo, fu lo stesso aviatore a optare per una ben più riconoscibile finitura nera.
La prima vittoria di Francesco Baracca
Ma facciamo un passo indietro. Dopo aver conseguito il brevetto di pilota in una scuola francese, nel 1915 torna in terra transalpina per ritirare i primi biplani dell’aviazione italiana. Le tempeste d’acciaio già incombevano sul suolo europeo. Il confrontarsi con l’inesperienza bellica del nostro contingente fu un grande ostacolo iniziale. Pochi e mal funzionanti erano sistemi di avvistamento e di allarme, ancora rudimentali le tecniche di combattimento. La data del 7 aprile 1916 è particolarmente importante perché la prima vittoria di Francesco Baracca coincide – in tal senso – anche con il primo successo italiano in questo particolare campo bellico.
Sopra la piccola frazione di Medeuzza, territorio di confine ai limiti orientali della pianura friulana, il velivolo del lughese ingaggia un duello con un Hansa-Brandenburg austro-ungarico. Dopo pochi minuti il nostro riesce a prendere quota (la manovra tecnicamente si chiama cabrata) in coda al ricognitore avversario. Colpito per quarantacinque volte, il nemico è costretto all’atterraggio. L’equipaggio della Flik 19 – tenente e sergente – viene quindi fatto prigioniero.
Un eroe italiano
«È all’apparecchio che io miro, non all’uomo». Ottenuta la prima vittoria – riceverà una medaglia d’argento – Francesco Baracca si complimenta, in quello che non sarà un gesto isolato, con il pilota avversario. Cavaliere dell’aria, non amava la crudeltà propria della guerra, ma sapeva come adempiere al proprio dovere. Esempio e guida, viene promosso capitano nel giro di poche settimane e si guadagna il rango di “asso” (ovvero raggiungendo la quinta affermazione) il 25 novembre dello stesso anno.
Autorevole ma non autoritario, Baracca diventa così la punta di diamante della “Squadriglia degli Assi”, soprannome dato al nuovo reparto aereo formato da soli piloti scelti. Superato il trauma di Caporetto l’eroe italiano continua a macinare vittorie sui cieli del fronte: al trentesimo abbattimento viene addirittura citato nel bollettino del Comando Supremo.
Nel giugno 1918 si combatte sul Piave, ma anche sopra le teste dei fanti. È la Battaglia del Solstizio, per l’aviazione sono le missioni Rettile. Pioggia e fumi dei combattimenti diminuiscono la visibilità. Nel tardo pomeriggio del 19 il mezzo di Baracca non fa ritorno al campo. Il suo gregario, Franco Osnago, vede lo SPAD VII 5382 in fiamme precipitare nei pressi del colle Montello. È l’ultimo volo. L’orazione funebre dell’eroe italiano fu tenuta dal Vate Gabriele D’Annunzio: gli animi simili sono sempre destinati ad incontrarsi.
Marco Battistini