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Lo sguardo di Saint-Exupéry sulla “Terra degli uomini”

by Davide Di Stefano
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Saint-Exupéry_terra-degli-uominiRoma, 6 dic – Nei turbolenti anni ’30 la letteratura europea ha conosciuto personalità in grado non solo di rappresentare appieno i moti storici e spirituali contemporanei, ma soprattutto di anticipare i tempi e di prefigurarne i significati profondi. Tra i grandi anticipatori va indubbiamente annoverato Ernst Jünger, che con L’Operaio ha segnato un epoca del pensiero e dell’antropologia politica. Negli stessi anni dello scrittore tedesco, il francese Antoine de Saint-Exupéry, universalmente noto per la novella Il piccolo principe (1943), scrive un diario che sintetizza le proprie avventure di aviatore assieme ad alcune osservazioni sulla tecnica e l’uomo che lo accomunano all’autore della mobilitazione totale.

Mursia ha recentemente pubblicato lo stupendo testo del 1935 Terra degli uomini (12 euro, 165 p.) che, nato come un diario di bordo, diventa nel corso della lettura qualcosa di più. La grandezza di un autore si misura nella sua capacità di superare il suo piccolo io, le proprie preferenze e manie, il proprio narcisismo, così da lasciar parlare le cose e il mondo, la realtà che le parole costruiscono davanti agli occhi. Dove psicologismi e verbosità appesantiscono il testo, lì in verità non si ha a che fare con uno scrittore che punta alla grandezza, al bello, al luminoso.

Saint-Exupéry si lascia alle spalle il proprio piccolo io e la sua vicenda di aviatore nel nord Africa diventa un pretesto per raccontare la grandezza degli uomini e della loro terra. Tutto ciò che vi è di grande e di nobile nell’uomo – l’impero interiore –  dice l’autore, cresce nel pericolo, nei momenti di massima tensione e disperazione. Si tratti dei disperati guardiani di fortini assediati dalle sabbie e dai ribelli, di aviatori smarriti e disidratati nel deserto o di uomini pronti all’ultimo assalto, lo sguardo è lo stesso, la forma interiore la medesima. In loro i piccoli piaceri della vita comoda lasciano il posto al gusto per la sfida, alla volontà di spingersi oltre e rischiare. In fondo il pilota d’aereo, sembra voler dire Saint-Exupéry, appartiene al cielo e alle stelle e sa che prima o poi a loro dovrà tornare.

Il libro è percorso da una romantica e profonda ricerca d’autenticità. L’inseguimento di un qualcosa evanescente come sabbia al vento e che solo un cuore giovane, forte e avventuroso può custodire nella sobrietà di una vita dedita all’onore e alla benevolenza. Perciò ogni cosa assume i tratti dell’innocenza, ogni cosa è al suo posto: il beduino che rifiuta la civiltà, il deserto che lentamente assassina il pilota incauto; sono tutte tessere di un mosaico in cui le leggi del cosmo si manifestano nella loro naturale vitalità.

«Ho bisogno di vivere. Nelle città, non c’è più vita umana. Non si tratta di aviazione. L’aeroplano non è un fine, è un mezzo. Non per l’aeroplano si rischi la vita. Neanche il contadino fatica per il suo aratro. Ma, grazie all’aereo, si lasciano le città e i loro contabili, e si recupera una verità contadina».

Non vi è ombra nelle notti sahariane, non esiste tristezza neppure nella più dura minaccia. Ci sono soltanto l’uomo e la terra, nel tempo che il destino assegna e secondo i compiti che a ognuno è dato assolvere. È un libro ricco e luminoso, questo di Saint-Exupéry, un libro schietto e avventuroso, profondo e piacevole.

Francesco Boco

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