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“Quando Mussolini non era il Duce”. Emilio Gentile ci ricorda come si scrive la storia del fascismo

by Adriano Scianca
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Roma, 28 mar – Forse ce ne siamo dimenticati, ma appena poche settimane fa, prima dell’emergenza coronavirus, il tema che campeggiava su tutte le prime pagine era… il fascismo. L’epidemia di svastiche al contrario disegnate con i pennarelli, nel clima segnato dall’esuberanza mediatica salviniana, aveva fatto sì che legioni di intellettuali, giornalisti, politici e influencer giocassero a una Radio Londra permanente dalle colonne dei giornali dei principali gruppi finanziari italiani. La prima vittima di questa ondata isterica, subito dopo il senso del ridicolo, fu la lucidità storiografica. Se tutto è fascismo, nulla è fascismo. Se c’è un Mussolini dietro ogni politico sovranista, Mussolini non esiste più, diventa un ectoplasma, qualcosa che va bene su tutto ma che non ha sostanza propria. Capire “ciò che è stato” (anche solo “per far sì che non si ripeta”, come da slogan d’ordinanza) è diventato ormai pressoché impossibile.

Quando Mussolini non era il duce

Fortunatamente, qualche storico serio si è ribellato alla storiografia ridotta al rango di cose come Mussolini ha fatto anche cose buone, di Francesco Filippi, che Repubblica ha persino tentato di rendere il libretto rosso delle masse semicolte dandolo in allegato col quotidiano. Pensiamo solo a Emilio Gentile, probabilmente il maggior storico vivente del fenomeno fascista, che dopo aver tentato di dire qualcosa di sensato nel dibattito in corso con il pamphlet Chi è fascista?, è tornato nelle librerie con un saggio sul capo delle camicie nere: Quando Mussolini non era il duce (Garzanti). Un libro che in realtà non parla del fascismo se non in minima parte, dato che, come appare del resto chiaro dal titolo, vi si affronta per lo più il periodo della biografia mussoliniana antecedente la fondazione dei fasci. Nello specifico, il saggio si occupa della vita di Mussolini tra il 1912 e il 1919, cioè tra il suo trionfo nel campo socialista, con la scalata che lo porta alla direzione dell’Avanti!, e il fiasco alle prime elezioni sostenute dai fasci, in cui Mussolini raccoglierà un pugno di mosche, pensando anche di lasciare la politica.

Il libro ha un curioso incipit: «Questo è un libro di storia». In un’epoca che fa della storia un’appendice della morale o della politica, chi fa storia «pura», limitandosi alla consultazione dei documenti, alla comprensione degli eventi, al racconto dei fatti nel loro contesto, sente il bisogno di specificarlo. E in effetti il saggio di Gentile, pur essendo meno importante dei precedenti volumi dello stesso autore che hanno cambiato il modo di intendere il fascismo, colpisce per la mancanza di coinvolgimento emotivo dell’autore e per l’assenza di ogni velleità moralistica. Gentile evita inoltre di ricorrere al senno del poi, come invece spesso fanno gli storici che descrivono i primi passi dei grandi personaggi come esordi di un percorso già scritto. Gentile, al contrario, descrive la parabola mussoliniana quasi in presa diretta, come fosse un contemporaneo ignaro degli sviluppi successivi.

Dall’Avanti alla «trincerocrazia»

Il segmento della vita mussoliniana oggetto del saggio è quello in cui un giovane e sconosciuto dirigente locale del Partito socialista arriva a dirigere il giornale del partito e a diventare il punto di riferimento di giovani e operai. Gentile ricorda che, sotto la sua direzione, «la media delle copie vendute dell’Avanti! era passata da 34.000 nel 1912 a 60.000 circa, con punte fino a 100.000; gli iscritti al partito, da 28.689 con 1003 sezioni, erano aumentati a 45.102 con 1565 sezioni». Ma proprio all’apice della sua avventura socialista, la guerra esplosa nel 1914 cambiò tutto. Lo storico ricostruisce passo dopo passo il repentino cambio di vedute di Mussolini, dal neutralismo assoluto al neutralismo «attivo e operante», fino all’aperto interventismo, che lo isolò nel partito fino alla rottura. A tal proposito, i suoi ex sodali dell’epoca, ma anche una certa storiografica successiva, hanno cercato di spiegare la conversione mussoliniana alla luce di scelte di convenienza, magari eterodirette da qualche potere forte. Chiarisce però Gentile: «La scelta interventista di Mussolini non fu un atto impulsivo e ancor meno la conseguenza di un cedimento alle lusinghe dell’ambizione e alla seduzione del denaro; piuttosto era avvenuta dopo una travagliata riflessione sul fallimento dell’Internazionale socialista».

Dopo l’interventismo e la cacciata dal Partito socialista, la guerra, in cui Mussolini «si comportò da buon soldato», e il graduale allontanamento ideologico dal socialismo. Al termine del conflitto, l’ex agitatore predappiese si erge a portavoce dei combattenti e a massimo interprete dell’Italia di Vittorio Veneto. «Nell’esultanza mussoliniana per la vittoria vi era molta retorica, ma era una retorica che esprimeva convinzioni e sentimenti sinceri», scrive Gentile. È il periodo della «trincerocrazia», dell’Italia delle trincee che reclama i suoi diritti. Sul piano dei progetti concreti, tuttavia, il dopoguerra mussoliniano è caratterizzato da una perenne navigazione a vista. Navigazione che, peraltro, Mussolini rivendica anche «filosoficamente», proponendosi in questa fase come battitore libero, «relativista» e «unico» in senso stirneriano. Più prosaicamente, l’intenzione dell’ex leader interventista è quella di mettersi alla testa dei reduci, di cui intende proporsi come unico referente e capo. Prima gioca la carta di una «costituente» lungamente annunciata e poi svanita nel nulla, poi, il 23 marzo 1919, lancia i Fasci di combattimento. Ma lo spazio politico per la nuova formazione è sulle prime introvabile. Né, all’inizio, Mussolini sembra volersi legare mani e piedi a una sigla che viene concepita come elastica e forse persino temporanea. Il saggio di Gentile si ferma alla clamorosa sconfitta elettorale del 16 novembre 1919, che sembrò affossare definitivamente la carriera del giovane e rampante politico. Appena tre anni dopo, sarebbe diventato presidente del Consiglio.

Adriano Scianca

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7 comments

Ettore 28 Marzo 2020 - 8:28

Esatto. E’ così che scrive la storia del fascismo! Bisogna dirlo, bisogna ribadirlo: Mussolini prima di essere un tiranno, un nemico della democrazia e dei lavoratori, un organizzatore delle truppe d’assalto dell’agraria che mosse contro le organizzazioni operaie e contadine, invece che avverso quelle padronali (è realtà inconfutabile), fu un socialista massimalista, un non-interventista (almeno prima del conflitto, quando aderì alle direttive anti-militariste del Congresso di Basilea della Seconda Internazionale nel 1911), un sedicente rivoluzionario. Questo è il dato che spesso viene rimosso, ma che invece è la reale chiave interpretativa per comprendere appieno il profilo del personaggio; tale dato si concretizza appunto nello spirito grettamente individual-opportunistico del tristo figuro, in una palese ed innegabile mediocrità analitica, intellettuale ed ideologica, di cui è testimonianza storica il grande tradimento operato ai danni del proletariato italiano, privato nel ventennio fascista di ogni libertà di organizzazione e di contrattazione. Ecco a cosa serve parlare di Mussolini prima che venisse assunto dalle varie associazioni industriali della penisola come “operatore d’ordine” in senso antibolscevico: serve a ricordarsi di come tradì e pugnalò alle spalle, dichiaratamente per conto dei borghesi, i suoi stessi vecchi compagni, moltissimi dei quali inviati poi, durante il regime, al confino o arrestati e detenuti con maggiori carichi penali. E non si pensi che tale propensione a cambiare casacca non sia stata già notata da altri. In realtà quello del Mussolini “traditore” era un tasto dolente già più volte richiamato dalla stampa socialista, repubblicana e democratica dell’epoca ed anche, paradossalmente, da parte dei suoi stessi scherani. Basti ricordare cosa scrissero sui manifesti murali affissi a Bologna nell’agosto del 1921, gli squadristi di Leandro Arpinati, commentando l’allora recentemente occorso patto di pacificazione, ossia: “chi ha tradito, tradirà”. Come dargli torto?

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Anton 29 Marzo 2020 - 8:19

Signor Ettore, scusate se mi permetto di farvi notare il fatto che avete un gran bisogno di studiare, sicuramente per la prima volta in vita vostra, la storia del Fascismo, quella vera, quella autentica.

Basterebbe poco, credetemi. A tal proposito, se me lo consentite, a parte quello propostoci dal direttore Scianca, vorrei segnalarvi alcuni altri titoli, secondo me, ottimi per potersi fare una idea:

1) Benito Mussolini/Giovanni Gentile – “La dottrina del Fascismo e i documenti ufficiali dal 1919 al 1945” (Passaggio al Bosco). Si tratta di un agile libro che costa solo 12.00 euro e rappresenta, nemmeno a dirlo, un ottimo inizio;

2) Giorgio Pisanò – “Storia del Fascismo dalle origini al 1943” (recentemente ristampata dal Il Giornale Comp. Libri). Si tratta di ben cinque volumi nei quali è spiegata ottimamente tutta la storia (vera) del Fascismo. Se avete possibilità e voglia di investire qualche soldino in più, vi consiglio questa importante opera.

3) Niccolò Giani – “Mistica della rivoluzione fascista” (Il Cinabro). Consigliatissimo: 20.00 euro

Su Internet, imprescindibile la documentatissima Biblioteca Fascista:

https://bibliotecafascista.org/

Potreste trovare utile anche la lettura del seguente numero del PN, acquistabile via-Internet:

https://altafortedizioni.it/prodotto/il-primato-nazionale-18/

Ecco, questi pochi titoli – PER INIZIARE – possono diventare vostri amici (sinceri e non menzogneri) e sono già sufficienti per studiare, meditare (a lungo), comprendere ed evitare, così, in futuro, di ripetere, a vanvera, le solite fandonie liberal/progressiste/sinistresi, che ci hanno inculcato sin da bambini a mo’ di lavaggio del cervello e che conosciamo a memoria per averle, purtroppo, dovute subire noi stessi…

Un cordiale saluto.

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Alex 29 Marzo 2020 - 5:27

I sentimenti del duce abusivo perdente che divise e rase al suolo l’Italia in quali DOCUMENTI sono riportati?

Ciò che è rilevante è che divise e rase al mittente suolo l’Italia
Ps
le pensioni le fece Giolitti e anche l’industrializzazione

https://youtu.be/9irOvnJo-z0

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Alex 29 Marzo 2020 - 5:25

E in che documenti stanno scritto i sentimenti del duce abusivo perdente che divise e rase al suolo l’Italia?

Stando ai fatti

L’IRI c’era dal 1913 col nome di “Consorzio per Sovvenzioni su Valori Industriali”

Cambiava nome a cose già esistenti per attribuirsele, tipico della propaganda..
https://it.m.wikipedia.org/wiki/IRI

____
Sulle pensioni

Legge 603 del 1919 articolo 3 : pensioni, invalidità, assegni a vedove e orfani

Legge del 1923 articolo 3: identica a quella del 1919 ma spariscono gli assegni agli orfani
……..
inoltre

Fiat, Prada, Ilva, Olivetti, Pirelli, Piaggio, Alfa Romeo, Lancia ,ecc.. tutte nate prima del 1922. Non c’è alcun settore industriale nato nel ventennio

……
E ancora
Perché il fascismo dava protezione al capo di cosa nostra e narcotrafficante DON VITO GENOVESE?

Cercate Vito Genovese l’ esilio in Italia

https://it.wikipedia.org/wiki/Vito_Genovese

Fu così che la mafia dei baroni siciliani, venne sostituita dalla ben più feroce mafia dei gangster americani

PS

le pensioni le fece Giolitti e anche l’industrializzazione

https://youtu.be/9irOvnJo-z0

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Fabio Crociato 30 Marzo 2020 - 1:14

Senti Alex, ma non hai il dubbio che prima di sentirti una “merda” devi fare qualcosa….
Grazie per la dritta dell’ infame Don Vito Genovese, precursore dell’ altrettanto infame (non in periodo fascista!) Cutolo!! Quando esisti c’è sempre un pre e post positivo/negativo, ovvio.

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Bracco 30 Marzo 2020 - 12:05

Alla fine,se si potesse tornare indietro nel tempo,gli si potrebbe consigliare ad un giovane Mussolini un CHI TE LO FA FARE!?
Di farsi da parte,farsi una vita tranquilla nell’anonimato.
Non so se l’Italia sarebbe entrata anch’essa nel blocco sovietico.
Molto probabilmente l’Italia si sarebbe evoluta meglio.

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Massimo Falchetta 30 Marzo 2020 - 5:43

Dimenticate il libro di Antonio Scurati IL FIGLIO DEL SECOLO – Bompiani – romanzo storico molto ben fatto

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