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Time-O: una contro-epica a fumetti del Grande Reset

by Adriano Scianca
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Time-O, grande reset

Roma, 14 lug – Il Grande Reset ha già la sua contro-epica. Parliamo di Time-O, la nuova graphic novel di Ferrogallico scritta da Carlomanno Adinolfi e Marco Carucci e illustrata da Pubble. Titolo e sottotitolo («non puoi sfuggire alla libertà») ci introducono già da subito in una feconda ambiguità. Time-O: il tempo zero, che per sua natura è necessariamente ancipite, è la fine di un ciclo, ma anche l’inizio di un altro, poiché lo zero sta sempre tra una zeta e un’alfa.

Time-O, altrimenti Timeo

Letto tutto di filato, tuttavia, il titolo suona anche come «Timeo», esattamente come la prima persona del verbo timere, che indica, più che il timore in senso stretto, la diffidenza, l’accortezza di colui che non se la beve: «Timeo Danaos et dona ferentes».

Ma il Timeo è anche l’opera platonica in cui viene introdotta la figura del demiurgo, colui che plasma il mondo, posto a metà strada tra le idee e la materia, cioè tra un sensibile bruto e un sovrasensibile disincarnato. Anche l’immagine di una libertà a cui «non si può sfuggire» suona ambivalente: da una parte, si tratta della vecchia fissazione di tutti gli universalisti della storia, decisi a «liberare» gli uomini anche contro la loro volontà, costringendoli, se è il caso con la forza, a «essere liberi»; dall’altra, però, il sottotitolo può richiamare anche una libertà come destino a cui il singolo è necessariamente vocato, malgrado un contesto sociale che lo opprime e lo svilisce.

Time-O, una contro-epica

Già queste annotazioni puramente superficiali spiegano bene la doppia natura di Time-O, che del resto viaggia sempre su un duplice binario, dipingendo una cupa dimensione distopica (secondo alcuni studiosi timere deriverebbe dal proto-indoeuropeo *temH-, «oscurità, buio»), ma anche i vicoli ciechi in cui finisce per autorecludersi una resistenza schiava della stessa logica che intende contestare. Il mondo in cui è ambientato Time-O attinge a piene mani ai grandi classici della letteratura e del cinema di genere, oltre che da inquietanti segnali provenienti dalla cronaca. Abbiamo quindi gli umani usati come batterie, come in Matrix, i libri bruciati come in Fahrenheit 451, l’ex membro delle forze speciali rinnegato, come ne L’implacabile, ma anche un sistema di crediti sociali che premia la collaborazione e punisce l’«asocialità», come in certi meccanismi in uso in Cina. Non manca un pizzico di QAnon, inteso però nel suo unico senso possibile di grande narrazione affabulatoria (e non certo di «testimonianza» veritiera, rivelatrice di realtà sottaciute). Nel mondo di Time-O non si fa più sesso reale, non si può mangiare carne, non si può presumere il genere di un interlocutore, non si può leggere un libro, le proprie libertà sono regolate dai crediti di cui si dispone e che si guadagnano mostrandosi zelanti complici del potere.

I protagonisti

In questo contesto si muovono Aurora, avvenente giornalista di regime, ma con una naturale pulsione alla libertà, e Sean, misteriosa figura ribelle che si fa chiamare il Lupo mannaro, secondo una trasparente simbologia che richiama i «lupi azzurri», cioè i proscritti dell’antica tradizione irlandese, il Wehrwolf di Hermann Löns, che descrive i ribelli tedeschi della Guerra dei trent’anni, e ovviamente gli omonimi reparti che proseguirono la guerriglia contro gli Alleati nella Germania occupata. Sean è in contatto con vari mondi ribelli, ma allo stesso modo marca una grande distanza da tutti loro. È il caso dei «ratti neri» che vivono nelle fogne e che non possono non far pensare a quelli tratteggiati da Jack Marchal negli anni ’70 per indicare i neofascisti scesi nelle «nuove catacombe».

Oppure dei monaci che si isolano dal mondo per conservare l’antica sapienza. Ai primi, tuttavia, Sean rimprovera un’azione cieca e senza strategia, oltre che una fondamentale nostalgia per il mondo di ieri, dei secondi non tollera la fuga dal mondo, l’incapacità di incarnare le idee in un progetto, in un mito, in un’opera di trasformazione del mondo. Si tratta di due idealtipi eterni, ma dietro a cui non sbaglieremmo se individuassimo anche gli indizi di certa estrema destra impolitica e di certa intellighenzia conservatrice.

Nessuna libertà nella fuga

Soldato ribelle, Sean è stato sottoposto a un programma di ricondizionamento per essere rimesso in carreggiata, ma qualcosa è andato storto: dopo aver subito un reset delle proprie categorie morali, egli ha riscritto da solo il suo codice etico, un po’ come i robot ribelli della fantascienza che riscrivono il proprio codice sorgente. Con un atto di volontà sovrana, Sean ha programmato se stesso, ha preso in mano il proprio destino. Un’operazione che può del resto avere un significato collettivo: non si sfugge al Grande Reset attraverso la nostalgia del mondo di prima. Si compie, semmai, un reset alternativo, più profondo e più radicale. Non c’è libertà nella fuga, ma solo nel combattimento.

Adriano Scianca

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