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“Bella ciao”: storia vera dell’inno di Tsipras e Charlie

by Adriano Scianca
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bellaciaoRoma, 24 gen – Fioccano le mondine, nel mondo. In Francia come in Grecia, risuona l’antica canzone delle lavoratrici delle risaie. L’ultimo è stato Alexis Tsipras, che ha chiuso la campagna elettorale sull’aria di “Bella Ciao”. La stessa cosa era accaduta poche settimane fa, durante le commemorazioni funebri delle vittime della strage di Charlie Hebdo. E nell’ottobre 2011, durante le proteste di “Occupy Wall Street”. E nelle rivolte turche del 2013. E in chiusura della campagna elettorale delle presidenziali francesi del 2012, da parte di François Hollande.

“Bella Ciao” diventa quindi, come ha scritto Repubblica, il “canto delle resistenze mondiali”. Quali siano non è dato sapere: le mediatizzate, effimere, forse pilotate rivolte turche e americane, durate sì e non un quarto d’ora, il tempo di far fotografare un bacio sulle barricate per fare il pieno di tweet e finire nel dimenticatoio? O forse parliamo della “resistenza” di quel campione di ribellismo che è Hollande? La “resistenza” di Charlie Hebdo, fatta di adulti che fanno i rutti quando passano le suore? O magari la “resistenza” del no-Ue-ma-non-troppo, l’inzupposo Tsipras?

Ovviamente sarà bene che nessuno abbia spiegato alla folla francese accorsa alle esequie dei vignettisti che la canzone parla di un “invasore”. Grottesco ritornello, da intonare ai funerali di progressisti uccisi da elementi di un’invasione taciuta e negata innanzitutto da loro stessi.

Ma ancor più grottesco è che tutto questo circo mediatico sia montato intorno a una truffa bella e buona, come del resto accade per tutto ciò che riguarda l’epopea resistenziale. Lo stesso Giorgio Bocca, giornalista e già sedicente comandante partigiano nelle valli di Cuneo, ricordò, a proposito di “Bella Ciao”, di “non averla mai cantata né sentita cantare. Diventerà popolare solo nel Dopoguerra”.

È lo stesso sito ufficiale dell’Anpi, del resto, a svelare l’arcano, se non altro con sincerità ammirevole. Dal punto di vista musicale, il ritornello di questa canzone è stato suonato e inciso già nel 1919 a New York in un 78 giri con il titolo “Klezmer-Yiddish swing music”.

Ma attenzione: “La canzone divenne inno ufficiale della Resistenza solo vent’anni dopo la fine della guerra. Cesare Bermani, autore di uno scritto pionieristico sul canto sociale in Italia, parla di invenzione di una tradizione. Poi a consacrare il tutto è arrivata Giovanna Daffini, che nel 1962 aveva cantato una versione di ‘Bella ciao’ nella quale non si parlava di invasori e di partigiani, ma di una giornata di lavoro delle mondine. Aveva detto di averla imparata nelle risaie di Vercelli e Novara dove era mondariso prima della guerra e ai ricercatori non parve vero di aver trovato l’anello di congiunzione fra un inno di lotta, espressione della coscienza antifascista, e un precedente canto di lavoro proveniente dal mondo contadino. La consacrazione avvenne nel 1964 quando il Nuovo Canzoniere Italiano presentò a Spoleto uno spettacolo dal titolo ‘Bella Ciao’ in cui la canzone delle mondine apre il recital e quella dei partigiani lo chiude”.

Una truffa, un medaglia di latta, un’epopea virtuale, una favola narcisisticamente passata di bocca in bocca. Sì, a pensarci bene è proprio la canzone adatta.

Adriano Scianca

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