Roma, 28 mar – «Entro la fine dell’anno ci saranno oltre 100 milioni di persone che torneranno in stato di povertà estrema»: è questo il quadro a tinte assai fosche che ci restituiscono i nudi dati, quelli raccolti dalla Banda Mondiale. Si tratta, più nello specifico, degli effetti che sta avendo la pandemia – o meglio, le restrizioni imposte dai governi – sulla situazione socio-economica internazionale. A lanciare l’allarme è stato anche Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia. D’altra parte, l’aumento della povertà assoluta è un problema che riguarda da vicino anche l’Italia: a registrarlo sono stati sia il Censis che l’Istat, che lo scorso giugno aveva fornito la cifra record di 5,6 milioni di italiani.
La povertà in Italia
La situazione, però, nel frattempo si è aggravata. I dati forniti di recente da Unimpresa, infatti, ci dicono che sono addirittura 11 milioni gli italiani a rischio povertà. Il quadro disegnato da Visco è drammatico. E i numeri erano inquietanti già prima della pandemia: «Nel 2019 il Pil pro capite si attestava su livelli prossimi a quelli di inizio millennio, ed è cresciuto il livello di famiglie con livelli di reddito e di consumo al di sotto delle convenzionali soglie di povertà», ha spiegato il governatore della Banca d’Italia a un convegno organizzato a Roma dalla casa editrice il Mulino e da Eur Culture.
Ai danni causati dalle restrizioni anti-Covid si somma ora anche la guerra in Ucraina, che «sta mettendo a repentaglio l’assetto economico e finanziario internazionale. L’integrazione dei mercati e la stessa cooperazione multilaterale sono oggi, chiaramente, più incerti», ha aggiunto Visco. Siamo pertanto arrivati a «un punto di svolta le cui conseguenze sono difficili da prevedere sia sul piano economico, sia su quello politico e sociale».
Una nazione prossima al collasso
D’altra parte, le proiezioni sulla crescita del Pil sono assai più modeste di quelle auspicate dal governo Draghi, il che probabilmente porterà a una stagnazione del mercato del lavoro e al rischio concreto di un aumento della disoccupazione. In sostanza, spiega Visco, il quadro che si va disegnando è quello di «accentuate regionalizzazioni con minor movimento di persone, merci, capitali e investimenti produttivi più bassi, incertezza per la domanda futura e un più lento progresso tecnologico».
In pratica, la globalizzazione è in crisi e l’economia è, appunto, sempre meno globale. Ecco perché è necessaria un’analisi critica delle politiche economiche varate a fine Novecento: «I cambiamenti degli anni Novanta come l’apertura dei mercati», chiarisce il governatore della Banca d’Italia, hanno portato molte imprese ad «abbassare i costi di produzione, riducendo quelli del lavoro, ma non hanno fatto investimenti». Cosa su cui, aggiungiamo noi, ha influito anche il cambio fisso dell’euro.
Insomma, l’aumento dell’indice di povertà assoluta è stato sì provocato da restrizioni anti-Covid e guerra in Ucraina, ma le vere cause vanno ricercate anche nel modello di sviluppo occidentale, improntato al più selvaggio neoliberalismo, che ha portato a delocalizzazione industriale, precarizzazione del lavoro, repressione salariale e – nel caso dell’Italia – crescente dipendenza dall’estero in settori strategici come quello dell’energia. Come si suol dire, tutti i nodi sono venuti al pettine.
Gabriele Costa
5 comments
Da quanto dico che sopravviverà solo chi non ha vissuto nel mondo dei sogni capitalista e negli anni si è limitato a soddisfare i bisogni primari?
Ora la massa si sveglierà perché è in arrivo una crisi ben peggiore di quella del 1929 terminata nel 1954.
I mercati sono più che saturi e non c’è più esigenza di produzione di massa quindi aumenterà la disoccupazione e la conseguente povertà.
Non serve un genio a capirlo, basta cercare al di fuori dei mezzi di disinformazione di massa.
Nel frattempo,
il pensionato senza Green-pass non può entrare in banca o alle Poste per ritirare la pensione.
Ognuno di noi ha pregi e difetti e secondo me i difetti bisogna rigirarli esponendoli come dubbi per trovare anche egoisticamente delle soluzioni grazie ai buoni prossimi.
Vengo al dunque. Condivido anche le tue posizioni critiche in economia già dagli anni novanta e avevo esposto pubblicamente materiale in tal senso. Allora rammento di aver scritto che i mercati erano saturi nella quantità e non nella qualità, facendo rif. ad una specifica comparazione tra un prodotto, con relativo servizio, germanico ed un prodotto latino. Che ne pensi soprattutto stante le tue deduzioni, a mio avviso interessanti, sullo stato infame della finanza moderna? Che margini di manovra può avere ancora un capitalismo costretto eticamente? Getto la palla a tè e ovviamente a chi è interessato…
Il capitalismo è finito, nel 2012 per stessa ammissione dei capitalisti
https://www.weforum.org/agenda/2012/04/the-end-of-capitalism-so-whats-next/
I mercati sono saturi di qualsiasi cosa anche di cibo
https://bit.ly/3F335Z2
Non è un problema di qualità, è un problema di bisogni reali e superfluo.
Chi non ha sperperato quando ne aveva sopperirà ai bisogni primari chi ha sperperato farà la fame, per anni.
Nel 1929 con m,ercati molto molto meno saturi di adesso la crisi finì nel 1954 e per rilanciare la ripresa costruirono una guerra mondiale per creare necessità di ricostruzione immaginati oggi quanti decenni serviranno.
Le mie purtroppo non sono deduzioni, sono dati oggettivi basati sui numeri.
La crescita infinita pilastro del defunto capitalismo è stata la bufala più grande mai partorita.
[…] L’Italia si dimostra non essere un paese per giovani, una nazione sempre più vecchia al primo posto nell’elenco dei paesi con la più alta età media in Europa che lascia milioni di minori in condizioni di gravi difficoltà. Mentre la politica si occupa di comparire in televisione per racimolare più voti possibili, gli italiani sono sempre più disillusi e sull’orlo del baratro. […]