E veniamo ora all’ultimo rapporto dell’Osce in occasione della giornata mondiale contro la povertà. Il report ci dice che un giovane italiano su tre è a rischio povertà. Inoltre, il confronto con gli altri Paesi è disarmante. Peggio di noi solo la Bulgaria, la Romania con il 37,3% e la Grecia con il 35,7%. Fanno certamente meglio di noi Germania, Francia, Regno Unito e Spagna. L’Italia è l’ultima ruota del carro. Nel Bel Paese il 28,7% della popolazione è vicina alla soglia di povertà, con un’incidenza leggermente più alta per le donne. Oltretutto l’Europa è tornata ai livelli pre-crisi: il 23,7% dei cittadini era a rischio povertà nel 2008, la stessa quota si è registrata nel 2015. Da noi, al contrario, si è assistito ad un incremento del tasso di povertà dal 25,5% (precedente al crollo dei mutui subprime) al 28,7% del 2015. Un dato su tutti, però, fa da trait d’union tra i dati Istat e quelli Ocse: il lento declino delle famiglie al di sotto della soglia di povertà. Ossia, il livello di reddito al di sotto del quale una famiglia o un individuo vengono considerati poveri. Un parametro questo che varia ovviamente a seconda della nazione di riferimento. In Italia tale soglia non è cresciuta negli ultimi anni. Segno che il reddito di molte persone è sceso al di sotto di quella soglia sotto la quale si è considerati poveri. Prendiamo come riferimento una coppia con due figli under 14. La soglia di povertà per il suddetto nucleo familiare è fissata da Eurostat a 19.966 euro, con un aumento di 260 euro rispetto all’anno dello scoppio della crisi. Quindi, per essere sopra la soglia di povertà ogni nucleo familiare di quattro persone deve possedere almeno ventimila euro l’anno. Per moltissime coppie mettere al mondo il secondo figlio significa scegliere di essere poveri. Non serve, quindi, l’Ocse per comprendere le cause della bassa natalità. Basta saper far di conto.
Salvatore Recupero