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Occupazione: se il lavoro è per soli anziani

by Salvatore Recupero
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anziani al lavoroRoma, 5 gen – Nei primi giorni di gennaio tutti fanno i loro progetti per l’anno che verrà. Nell’elenco dei buoni propositi non può certo mancare il lavoro. La questione occupazionale è sempre al centro di ogni dibattito politico economico o astrologico che sia. Ma bisogna fare sempre i conti con ciò che abbiamo ereditato dall’annata appena trascorsa. A tal proposito, il Centro Studi di Confindustria ha fornito dei dati che hanno sorpreso gli addetti ai lavori. Infatti, secondo i tecnici di Viale dell’Astronomia:Dall’inizio della crisi il lavoro over 55 (fascia 55-64 anni) è sensibilmente cresciuto, registrando circa 1,1 milioni di lavoratori in più, a fronte di una sensibile diminuzione di quello giovanile (25-34), che ha perso 1,6 milioni di addetti. Si tratta di cambi di percentuale piuttosto significativi. Nel terzo trimestre del 2014 gli over 55 risultavano occupati per il 46,9%, contro il 34,2% del 2007. Andamento contrario per la fascia tra i 25 e i 34 che è caduta dal 70,3% al 59,1%”.

Giovani a casa e un milione di anziani in più al lavoro. L’Italia, però, non è la sola a registrare fenomeni di questo tipo. Secondo i dati di Confindustria: “L’Italia risulta quarta in Europa per percentuale di lavoratori anziani, dietro a Germania, Polonia e Paesi Bassi. Il Bel Paese, però, è anche quarto per calo del lavoro giovanile, dietro a Grecia, Spagna e Irlanda”. Qualcuno potrebbe pensare ad uno scontro generazionale. Ma non è così. I padri non rubano i lavori ai figli. Nei paesi in cui i lavoratori ritardano il loro pensionamento l’occupazione giovanile cresce. Ad esempio in Germania, in Austria e nei Paesi Bassi.

Il fenomeno è molto più complesso di quanto si possa pensare. Un motivo su tutti. L’aumento dell’aspettativa di vita a cui è correlato l’aumento dell’età pensionabile. Anche volendolo, a cinquantacinque anni solo in pochi possono permettersi di congedarsi dal lavoro.

I motivi per cui i giovani rimangono fuori dal mercato del lavoro sono vari e complessi. Vediamoli nel dettaglio. La crisi economica, certo, ha ridotto la domanda di lavoro. Poi non possiamo non considerare la concorrenza sleale delle economie emergenti che, in assenza di regole globali, ci mette fuori dal mercato. Aggiungiamo, anche, che a breve gli italiani saranno costretti a colorarsi la faccia per non perdere i propri diritti di cittadinanza. A questo punto diventa troppo difficile sbrogliare questa matassa.

Ma una via d’uscita c’è. Il fattore chiave per ribaltare questa situazione è l’istruzione. I lavoratori over 55 avevano un mestiere. Tutti coloro che hanno tra i venticinque e i quaranta anni sono vissuti nel mito del Pezzo di Carta. Per molti era il lasciapassare con cui varcare le frontiere del mercato del lavoro. La realtà, però, è stata più severa del previsto. Le pergamene non bastano. La scuola pubblica ha avuto, finora, un atteggiamento pilatesco nei confronti della scelta dei percorsi didattici. Oggi, però, ha l’obbligo di orientare gli studenti verso percorsi di studi che possano rispondere meglio alla domanda del mercato. In caso contrario avremo migliaia di laureati  disoccupati ma privi di un chiaro percorso formativo.

Giovani senza arte né parte. Purtroppo in queste situazioni il vittimismo è dietro l’angolo. E cosa fa un italiano quando è messo alle strette? Semplice: chiama la mamma.

Circa dieci giorni or sono il quotidiano La Repubblica pubblicava uno studio interessante: il Rapporto Giovani 2014 promosso dall’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica e con il sostegno di Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo. Questa ricerca è stata elaborata a partire da un panel di 5000 persone tra i 19 e i 32 anni rappresentativo a livello nazionale. Tra i tanti dati interessanti forniti da questa ricerca ne spicca uno su tutti: il bisogno dei ventenni e dei trentenni di rifugiarsi nel focolare domestico. Il Rapporto parla chiaro a questo proposito: “Le difficoltà a trovare un lavoro hanno intaccato nei giovani non solo la fiducia nelle istituzioni, ma hanno anche ridotto il senso di appartenenza sociale, portando i giovani a rifugiarsi nella rete parentale più ristretta al punto che solo il 35% circa ritiene che la maggior parte delle persone sia degna di fiducia. Un alto grado di fiducia viene riposto unicamente nei famigliari e negli amici: l’80% dei giovani si ritiene infatti soddisfatto dei propri rapporti”.

La crisi morde e i giovani si aggrappano alla sottana di mammà. Sic stantibus rebus si aprono due strade: la rendita o la responsabilità. Nella prima ipotesi, basta aspettare che papà o mamma maturino i contributi per avere un reddito sicuro. La seconda strada è più difficile. Si tratta di far leva su noi stessi, costruendo una nuova comunità nazionale in cui potersi riconoscere. Fare blocco per non essere schiacciati. Costruire invece che restaurare. In caso contrario, verremo ricordati come la generazione dell’iPhone e della Play Station.

Salvatore Recupero

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