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I “diritti delle imprese” al tempo della delocalizzazione

by La Redazione
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Fiat PoloniaRoma, 20 mag – “Siamo in una brutta situazione, ormai le lavorazioni che facevamo noi sono state trasferite all’estero. Prima o poi chiuderemo”.
“Ma il sindacato che dice, va bene così?”
“Dice che è diritto dell’impresa andare dove trova condizioni più vantaggiose”.

Questo lo scambio di frasi con un giovane (sposato, un figlio) che lavora in una azienda del comparto aereonautico nel napoletano. E’ un comparto storico in Campania, la cui nascita si può far risalire agli anni ’20. Per chiarire sommariamente di cosa stiamo parlando: il DAC – Distretto Tecnologico Aerospaziale della Campania è stato costituito il 30 maggio 2012. Vi partecipano 28 soggetti: 6 grandi aziende, 11 piccole e medie imprese, di cui 7 consortili che raggruppano 124 aziende e centri di eccellenza, 11 centri di ricerca tra cui cinque atenei.

Come può il sindacato -uno per tutti, la Cgil- difendere efficacemente gli interessi primari delle maestranze (il posto di lavoro) se accettando i principi di base della globalizzazione si schiera di fatto su posizioni anarco-liberiste?

Il meccanismo è chiaro e conosciuto da anni: una azienda viene “internazionalizzata” con l’entrata di capitale straniero, si esalta l’evento, qualcuno si riempie le tasche, e da quel momento la nuova dirigenza inizia un processo di “razionalizzazione” che colpisce progressivamente posizione e reddito di chi ci lavora spostando all’estero prima alcune lavorazioni, poi un insieme più ampio dei fattori di produzione (come spesso logistica, progettazione…) e infine si chiude. Si possono citare decine di esempi dove questo si è compiuto, ma anche citare aziende dove questo è in atto, ad esempio alla Ducati dove appena entrata in gran pompa nel capitale la tedesca Audi si è cominciato a trasferire all’estero “alcune lavorazioni”, preludio della fine.

Diritto dell’impresa, obietta il sindacato. Diritto dell’impresa, obietta l’azionista. Diritto dell’impresa, obietta l’economista. Diritto dell’impresa, obietta il politico, e poi il mezzobusto, il pensionato, il commerciante, lo studente, la casalinga e così via, tutti quelli che dipendono dall’informazione generalista di media e talk show e che poi non sanno spiegarsi perchè siamo arrivati a 15 milioni di poveri ufficiali, delle paghe a 3 € l’ora, dei tagli a pensioni, sanità, scuola etc. e quindi ad altro crollo dei consumi, del potere di acquisto e così via in una spirale che appare senza fine.

Due giorni fa in una trasmissione dedicata al problema dei barconi l’ambasciatore polacco, ospite in studio, dichiarava che si, la Polonia è disposta ad aiutare l’Italia, ma di accettare le “quote” di immigrati proposte dalla UE nemmeno se ne parla: “Noi non abbiamo riconosciuto alla Ue il diritto di decidere”. E infatti la Polonia è uno dei paesi che mantiene la sua “Sovranità”. Non entra nell’euro, protegge la sua economia, concede alle imprese che vogliono trasferirsi in Polonia notevoli vantaggi in termini di contributi in conto capitale, crediti agevolati, contratti di lavoro vantaggiosi, e quindi rade al suolo il nostro settore degli elettrodomestici per citarne uno. Così come la concorrenza asiatica sta radendo al suolo il settore europeo delle due ruote.

Tutti fanno così. Possiamo citare la Serbia che ha offerto alla Fiat gli stessi vantaggi, ma anche la Francia che ha per legge 14 settori economici “non scalabili”, la Germania che tramite la Ue mette allegramente i dazi sui moduli fotovoltaici cinesi, e così via. Per non parlare delle “potenze emergenti”, Cina, India, Indonesia, Brasile, che applicano ogni tipo di restrizioni all’importazione con dazi che arrivano al 150% e obbligano a che la quota di maggioranza di una azienda partecipata dall’estero rimanga in mani di un cittadino locale.

Tutti tranne chi ha riconosciuto ad altri il diritto di decidere e/o è “ricattabile” con lo spread, il debito pubblico, i parametri e così via. Poi basta avere chi va nelle fabbriche a dire che “E’ diritto dell’impresa”, e finge di organizzare il dissenso dopo aver stabilito il consenso. E chi magari ci pensa (ma questa competizione globale, vale solo per me?) ma poi lo guardano brutto, piega la testa e si intruppa nel corteo.

Naturalmente la nuova “cosa” che si sta formando non toccherà il tema de “i diritti dell’impresa”. Ha da pensare in primis all’antifascismo, e poi al matrimonio gay, ai diritti dei migranti, allo sviluppo sostenibile, alla moria degli orsi polari e così via. Un grande sogno di impegno civile.

Luigi Di Stefano

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