Roma, 04 apr – È ufficiale: la sezione di Atlanta (Georgia) della Federal Reserve, incaricata delle previsioni oggettive del prodotto interno lordo degli Stati Uniti, contro ogni pronostico precedente ha previsto una crescita nulla del Pil americano nel primo trimestre del 2015, come evidente nella prima figura di questo articolo.
Nonostante le ripetute dichiarazioni presidenziali, i rilanci di stampa, l’opinione diffusa anche in Europa che finalmente la locomotiva Usa si fosse rimessa in moto per trainare l’economia mondiale, e infine – come accennato sopra – che le grandi industrie e gli analisti Usa nelle scorse settimane prevedessero un aumento intorno al 2% (le cosiddette “previsioni di consenso”), l’analisi dei dati reali non ha lasciato scampo.
Tra le tendenze negative più significative, il sensibilissimo indice della partecipazione alla forza lavoro, sceso per il secondo mese consecutivo, riportandosi ai livelli del 1978 e che dal 2000, anno in cui fu registrato il valore massimo, ha perso quasi quattro punti e mezzo, collocandosi in marzo al 62,7%. Oltre 93 milioni di persone sono escluse dal lavoro, tra le quali 277 mila si sono aggiunte nel solo mese di marzo.
Lo stesso declino di lungo termine – ormai 15 anni – dell’occupazione appare accordarsi particolarmente bene con le nostre stime, che davano l’economia reale d’oltreoceano in stagnazione, nella migliore delle ipotesi, durante lo stesso periodo.
Il valore degli ordinativi per il complesso dell’industria manifatturiera statunitense ha perso ulteriormente terreno, con un tasso di diminuzione sostenuto e simile a quello osservato durante la crisi del 2008-2009, pari al -2,3% su base annuale. Le ultime due volte che questo accadde coincisero con il 2008, subito dopo il fallimento Lehman, e nel 2001, quando ancora gli Usa entrarono in fase recessiva. Gli analisti sostengono che se c’è un indice chiaro e ricorrente dell’ingresso nelle fasi recessive, questo è la variazione annuale negli ordinativi dell’industria.
Ulteriori elementi che confortano la previsione della mancata crescita, o anche della recessione dell’economia americana, sono quelli che legati al settore petrolifero.
Per prima cosa, è bene chiarire ancora una volta che gli Usa sono tutt’altro che autosufficienti o perfino esportatori di petrolio; in realtà, sono tuttora fortissimi importatori, come evidente dal diagramma in alto della figura a fianco. Questo, nonostante l’indubbio aumento produttivo dovuto al petrolio non convenzionale, cioè alla pratica del fracking.
Dal secondo diagramma dall’alto è evidente che il numero di impianti di esplorazione e perforazione attivi è crollato della metà dal novembre scorso, in soli quattro mesi, mentre la produzione dai pozzi e giacimenti attivati in precedenza ha continuato ad aumentare, salvo che nelle ultime due settimane, in cui potrebbe aver iniziato una fase discendente. Solo il tempo dirà se quest’ultima tendenza confermerà la previsione Opec del declino entro l’anno corrente.
Non c’è invece alcun dubbio che il collasso delle attività di esplorazione e perforazione – un settore che nei tempi migliori ha impiegato centinaia di migliaia di persone e di fatto sostenuto una sia pure modesta crescita del Pil americano – sia legata alla diminuzione del prezzo del petrolio, come evidente dal terzo diagramma della figura a fianco, dovuta a sua volta alla sovrapproduzione rispetto a una domanda stagnante o recessiva. Fallimenti a raffica e licenziamenti sono la naturale conseguenza dell’attuale fase discendente.
La conferma della crisi del settore petrolifero Usa è offerta, in ogni caso, dal bilancio dei capitali investiti sulle attività di esplorazione e produzione, entrati in territorio negativo nel terzo e quarto quadrimestre del 2014 (diagramma in basso). Un dato, questo, tanto più importante in quanto il nuovo e prevalente modello di produzione petrolifera Usa richiede un continuo ingente impiego di nuovi capitali per sostenere i livelli di estrazione.
Francesco Meneguzzo
1 commento
[…] D’altra parte e forse soprattutto, sussiste la necessità impellente, per Obama, di concentrarsi sull’economia reale domestica che, contrariamente alle previsioni più affrettate dei mesi scorsi, soffre di una stagnazione che colpisce pesantemente i redditi della classe media e l’occupazione. […]