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Quantitave easing: Mister Draghi ha fatto flop?

by Salvatore Recupero
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mario draghi quantitative easingRoma, 6 mar – Il bazooka di Mario Draghi pare proprio si sia inceppato. Capita anche ai migliori. A dirlo è uno studio della Cgia di Mestre, nel quale si dimostra che dopo un anno di acquisti di titoli da parte della Banca Centrale Europea nell’Eurozona l’inflazione continua ad essere bassa e le imprese faticano a trovare credito da parte delle banche. Ricordiamo che il Quantitative Easing (Qe) è l’operazione avviata dalla Bce il 9 marzo del 2015 con l’intento di riportare il tasso di inflazione al 2%e di allentare la stretta creditizia per far ripartire l’economia europea. Gli artigiani di Mestre fanno un bilancio impietoso dei risultati finora raggiunti. Lo studio analizza gli interventi fatti nell’ultimo anno da parte della Bce e i loro risultati nei Paesi dell’area Euro.

Vediamo meglio nel dettaglio quanto emerge dalla ricerca della Cgia: “Nell’ultimo anno nell’area dell’euro la Bce ha comprato titoli per oltre 713 miliardi di euro, in particolare del settore pubblico (quasi 600 miliardi di euro). Questo piano di acquisto titoli è stato in linea con quanto previsto inizialmente, tant’è che tra il 9 marzo 2015 e il 26 febbraio 2016 (ultimo dato disponibile) Francoforte ha acquistato titoli e obbligazioni per 59,5 miliardi di euro al mese”. Questa pioggia di denaro ha generato ben pochi benefici in Europa. Il livello medio dei prezzi nell’area euro è cresciuto di appena lo 0,1%. Siamo ben lontani dal 2%. Perfino, in Germania e in Francia l’inflazione è prossima allo zero. Per usare parole più comprensibili: la liquidità scarseggia. Per non parlare poi dei paesi in piena deflazione: “I prezzi sono scesi dello 0,5% in Spagna e in Lituania, dello 0,8% in Slovenia, dello 0,4%. Nessun paese dell’Area Euro presenta un’inflazione superiore all’1 % (il tasso di crescita dei prezzi più elevato si trova in Austria, +0,9 per cento)”.  Insomma, il Quantitave easing, almeno finora non è servito a stimolare l’inflazione. I numeri parlano chiaro.

Per non parlare, poi, della stretta creditizia. In Italia anche se, la Bce abbia acquistato più di ottantasette miliardi di titoli di stato italiani (dati al 31 gennaio 2016, pari al 16 per cento del totale), i prestiti alle imprese sono scesi del 2,3%. Detto in soldoni, sono mancati 15 miliardi di euro. Alla faccia della ripresa! Il segretario della Cgia, Renato Mason, ha centrato bene la causa del problema. Mason dichiara. “Le regole si stanno assestando sempre più in alto. Prima l’Europa chiedeva un patrimonio dell’8% degli impieghi; ora bisogna avere il 10,25. In altre parole, la banca per prestare 100 milioni deve avere un patrimonio di oltre 10. L’asticella che varia nel tempo per gli istituti di credito è un problema. Infatti, dura da un anno la corsa per adeguarsi alle nuove regole europee, applicate con rigidità e nel periodo peggiore, ovvero nel bel mezzo di una crisi”. La Bce, dunque, con una mano da e con l’altra toglie. Quindi, si tratta di un problema di regole. Un istituto di credito deve obbedire alla Bce o in primis alla Banca Centrale del paese in cui opera?  Come si vede è sempre un problema di sovranità che poi rende inefficaci anche le politiche monetarie più espansive.

Questi dati, pero, non sorprendono.  Il 23 novembre scorso Vito Lops sul Sole 24 Ore spiegava bene cosa non funzionava nel Quantitave easing citando le dichiarazioni di Lionel Melin, strategist di Lyxor (Lyxor Asset Management è una società di risparmio gestito francese). Secondo lo studio della Lyxor: “Le banche dell’Eurozona hanno parcheggiato presso la Bce l’80% della liquidità immessa attraverso il Qe”. Gran parte della liquidità legata al quantitative easing, dunque, è rimasta a Francoforte. Vediamo perché.  Il motivo ci viene spiegato dallo stesso Melin: “La creazione di denaro è interrotta quando le riserve in eccesso vengono accumulate presso la Banca centrale e non diminuite attraverso un’accelerazione dei prestiti all’economia. A oggi, le riserve in eccesso ammontano a 566 miliardi di euro, con un costo che è pari a più di 1 miliardo di euro l’anno per le banche private.  Benché in media dal 2008 il 65% dell’iniezione di liquidità fornita dalla Bce sia rimasto a Francoforte (come riserve di liquidità), questa proporzione è salita all’80% da marzo 2015, quando il programma della Bce è iniziato”. Se le banche hanno le mani legate dalla Bce come fanno ad erogare credito? Non possono, e difatti non lo fanno.

Lo stesso avviene per gli stati nazionali se sono legati ai parametri di Bruxelles come fanno a rilanciare gli investimenti pubblici? Se invece vi fosse stata una reale volontà di rilanciare l’Europa, la Bce avrebbe dovuto finanziare direttamente i bilanci pubblici alleggerendo la spesa fiscale. Per esempio, destinando i fondi messi a disposizione dal Quantitative easing alla realizzazione di opere pubbliche. Ma questo è vietato dalle normative comunitarie.

Salvatore Recupero

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