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Crisi Toshiba: il Giappone pensa alla nazionalizzazione per evitare la vendita all’estero

by Filippo Burla
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crisi toshibaTokyo, 18 mar – Una grave crisi di risultati, potenzialmente in grado di far andare gambe all’aria un gruppo da 6000  miliardi di yen (50 miliardi di euro) di fatturato, che occupa qualcosa come 200mila dipendenti. E gli avvoltoi stranieri pronti a banchettare sulle spoglie, per accaparrarsi quel che ne rimane a prezzi di saldo. E’ così che il governo giapponese, solitamente molto restìo ad intervenire nell’economia nazionale, sta invece pensando di nazionalizzare Toshiba, il colosso che si appresta a chiudere il 2016 con un rosso di conto economico dieci volte superiore rispetto ai 300 milioni già registrati nel corso dell’anno precedente.

Dalle centrali nucleari ai computer, dalle stampanti ai pannelli Lcd, dai semiconduttori alle apparecchiature mediche. Come da tradizione di grande conglomerata giapponese erede dei giganteschi zaibatsu di fine ‘800 – inizio ‘900, Toshiba spazia in un’amplissima varietà di settori, grazie anche ad una politica di investimenti ed acquisizioni molto accorta e che la ha permesso di segnare record su record. Fra le prime ad immettere sul mercato (nel lontano 1985) i computer portatili, l’azienda è tutt’ora il terzo produttore di notebook, oltre ad essere sempre fra i primi al mondo nel campo dei processori e di memorie, tv e videocamere.

La crisi di Toshiba, nonostante la decisa esposizione nell’ambito elettronico, nasce però dal settore nucleare. Ad affossare i conti di gruppi è infatti la controllata americana Westinghouse, attiva proprio nella costruzione di reattori, le cui pesanti svalutazioni (quasi 6 miliardi) stanno mettendo in difficoltà la dirigenza giapponese. E con la prospettiva di ulteriori problemi in futuro, dato che le rettifiche di valore sembrano non doversi fermare qui. Tanto che, sulla scia dei pazzeschi rossi di bilancio, si parla già di uno spezzatino della società.

Il primo passaggio è consistito nello scorporo delle memorie flash, già separate dal resto delle attività. Potrà sembrare un settore quasi residuale ma, data l’importanza della tecnologia dei semiconduttori, l’esecutivo lo ritiene strategico e non contempla che possa finire in mani straniere. Da qui l’idea di creare un fondo pubblico che investa in Toshiba Memory, per rilevare la quale si sono già fatti avanti concorrenti cinesi e coreani. Ipotesi, queste ultime, sgradite al governo di Tokyo, che fa della preferenza nazionale un punto fermo non sono simbolicamente, ma proprio dal punto di vista della politica economica. Stando alle prime indiscrezioni, la cessione di quote oltreconfine non è in ogni caso esclusa, a patto però che il partner scelto sia affidabile e che in Giappone rimangano almeno il 34% delle azioni e dei diritti di voto, abbastanza per assicurare poteri di veto sulle scelte societarie.

Filippo Burla

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