Commentando il Dossier statistico immigrazione 2013 presentato ieri dal Centro studi Idos e dall’Ufficio antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio (Unar), infatti, la Cia reclama apertamente più immigrati da destinare al lavoro nei campi. “Nell’ultimo anno – leggiamo nel comunicato – a dispetto della crisi economica, il numero degli occupati stranieri nel settore primario è cresciuto di 7 mila unità, raggiungendo quota 320 mila, di cui oltre 128 mila extracomunitari. D’altra parte, si tratta di una fetta rilevante del comparto: oggi i lavoratori stranieri rappresentano oltre il 20 per cento del totale della manodopera aziendale”.
Ancora: “Più in dettaglio poco più della metà dei lavoratori stranieri (53,8 per cento) è impiegato nella raccolta della frutta e nella vendemmia; un terzo (il 29,9 per cento) nella preparazione e raccolta di pomodoro, ortaggi e tabacco; il 10,6 per cento nelle attività di allevamento; il 3,2 per cento nel florovivaismo e il restante 3,5 per cento in altre attività come l’agriturismo o la vendita dei prodotti. I dati in aumento sull’occupazione immigrata in agricoltura confermano, ancora una volta, il fatto che si tratta di una componente strutturale e irrinunciabile della manodopera del settore -spiega la Confederazione- e che l’agricoltura, anche in tempi di crisi, è una risorsa preziosa per l’economia del nostro paese. Ciò significa che ora occorre proseguire con sempre più convinzione sulla strada della semplificazione e con azioni mirate a favorire l’ingresso e l’integrazione degli stranieri, che anche in termini demografici sono vitali per la società italiana. Insomma, semplificazione per l’inserimento lavorativo e integrazione sono la strada giusta”.
La Cia conclude lancianndo un avvertimento al governo: “Il fabbisogno di manodopera straniera resta ancora forte da parte delle imprese agricole. Occorrerà, quindi, molto buon senso per trovare soluzioni equilibrate che non mettano a rischio la già difficile situazione vissuta dal nostro settore”.
Chi sia, oggi in Italia, che chiede l’apertura indiscriminata delle frontiere è ormai chiaro. Il fatto che ci si rivolga in primis alla manodopera immigrata è di per sé indicativo: se le condizioni di lavoro e i compensi fossero realmente equi basterebbe attingere al sempre più vasto bacino della disoccupazione autoctona, anziché deportare nuove braccia dagli altri continenti. Ai partiti e agli intellettuali di sinistra lasciamo il compito di sciogliere la contraddizione fra l’angelismo delle parole d’ordine filo-immigrazioniste e la realtà vissuta ogni giorno nei campi di pomodori.
Giorgio Nigra