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Come l’Euro sta portando l’Europa al collasso

by Giuseppe Maneggio
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Eurozona sempre più in crisi. La moneta unica è in balia di se stessa privata di un reale controllo politico sulle questioni monetarie.

Francoforte, 15 ago – Parafrasando la celebre citazione di uno degli astronauti dell’Apollo 13 oggi possiamo dire: “Eurotower, abbiamo un problema”. Si, perchè la stagnazione europea è cosa certa e i dati diffusi sulle principali economie del vecchio continente non lasciano margini di incertezze: sono sempre più numerosi i segnali di un ritorno alla crisi dell’Eurozona.

L’Ufficio federale di Statistica in Germania ha pubblicato dati negativi sull’andamento del Pil tedesco (-0,2% nel secondo trimestre di quest’anno). Anche in Francia è andata peggio delle attese con una crescita annua praticamente assente. Quel che preoccupa oltralpe è il pesante calo degli investimenti delle imprese che registra un -0,8%, in accelerazione rispetto al trimestre precedente. Considerando che anche l’inflazione rallenta, chiaro segnale di deflazione, il ministro dell’Economia di Parigi, Michel Sapin, non solo ha rivisto al ribasso le stime di crescita francesi (da un roseo +1% a un misero +0,5%), ma anche affermato che non potrà essere rispettato il target del deficit al 3,8% come concordato con Bruxelles. Sforamento che secondo Sapin potrebbe portarsi al di sopra del 4%.

Tutti questi dati, sommati a quelli già noti della recessione italiana, terza economia del Continente, confermano quanto sostenuto da diverse settimane da molti analisti: la ripresa dell’Eurozona potrebbe essersi già spenta. La locomotiva tedesca mostra chiari segnali di rallentamento dovuti in gran parte alla stagnazione degli altri partner europei che arrancando contribuiscono negativamente sulle esportazioni della Germania.
Delle prime quattro economie europee solo la Spagna indica una dinamica positiva, mentre l’Italia, non solo non è riuscita ad agganciare la pallida ripresa europea dei mesi scorsi, ma non è stata in grado di trascinarsi fuori da una recessione che dura ormai da tre anni.

In una situazione economica continentale siffatta non mancano le accuse e le prese di posizioni inamovibili. Wolfgang Schaeuble, ministro delle finanze tedesco, nelle scorse settimane in visita a Parigi, aveva chiesto che la Francia non seguisse la strada dell’allentamento del rigore fiscale. Mentre il governatore della Bce, Jens Weidemann, aveva redarguito in un’intervista a Le Monde il presidente François Hollande, invitandolo a dare l’esempio e a cessare di chiedere un euro debole per rilanciare le economie dell’Eurozona. Ma Parigi ha lanciato un appello proprio alla Banca Centrale Europea, chiedendo essenzialmente due cose: che l’istituto aumenti la liquidità e che svaluti l’euro, in modo da rilanciare le esportazioni.

Mario Draghi, che peraltro ha recentemente incontrato in gran segreto il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi, aveva già chiarito nei mesi scorsi che la Bce non può manovrare per statuto il tasso di cambio. Insomma, di svalutazione non se ne parla, vuoi per una mera questione burocratica, vuoi per le ferme posizioni tedesche che di un euro indebolito non ne vogliono sentir ragione. Quanto alle misure di allentamento monetario non siamo certo nel campo del quantitative easing che la Fed ha attuato negli Stati Uniti. La Bce per statuto sta semplicemente acquistando titoli Abs (quelli che cartolarizzano il credito bancario alle imprese, e facendo aste sulle Targeted long-term refinancing operations (Tltro), sostanzialmente un’altra pioggia di denaro alle banche ma con dei vincoli che dovrebbero portare questo flusso di denaro, stando alle dichiarazioni di Mario Draghi, a famiglie e imprese. Il 18 di settembre è stata fissata la prima asta, vedremo se gli effetti stabiliti porteranno beneficio all’economia reale o se più prosaicamente come sostenuto da Moody’s, gli istituti bancari europei non sono preparati per questa operazione e che i Tltro avranno solo un impatto molto limitato anche per il sicuro risvolto negativo che si avrà sull’inflazione (rivista troppo al rialzo).

Ma se in Europa non si ride, in Italia si piange: l’ombra della Troika (Bce, Ue e Fmi) si è fatta in questi ultimi giorni più minacciosa e l’incontro tra Renzi e Draghi dimostrerebbe che il governo italiano teme realmente l’isolamento in Europa. I consumi non stanno ripartendo, nonostante il bonus Irpef degli 80 euro. La disoccupazione non si scrolla dai massimi e sfiora il 13% (oltre il 43% quella giovanile), mentre i conti pubblici iniziano a risentire della mancata ripresa e della incapacità del governo di tenere dritta la barra fiscale. Le privatizzazioni, che avrebbero dovuto portare in cassa quest’anno 12 miliardi, sono al palo. Tutti, ma davvero tutti gli osservatori, spiegano che a settembre sarà necessaria una manovra correttiva di almeno 10 miliardi di euro.

La testardaggine di Renzi nel chiedere all’Europa maggiore flessibilità sul Patto di stabilità ha mandato su tutte le furie i tedeschi con attacchi diretti da parte del presidente della Bundesbank Weidmann: “Renzi ora ci dice cosa fare ma creare più debiti non è il presupposto della crescita”.

Apparentemente mollato dal Corriere della Sera – che con un articolo a firma Ferruccio De Bortoli criticava l’operato del governo preannunciando il rischio di un prelievo forzoso dai conti correnti degli italiani e l’arrivo della Troika – a Matteo Renzi non resta che pavoneggiarsi sugli allori di un trionfo elettorale, quello delle elezioni europee di maggio, e di un consenso popolare irragionevole e senza precedenti. Poca roba di fronte alle impellenti urgenze di carattere economico. Per sua fortuna l’ex premier Silvio Berlusconi sarebbe pronto a offrirgli un patto allargato del Nazareno per evitare il commissariamento dell’Italia. Si rinsalderebbe quindi quell’asse Pd-Forza Italia che di fatto è la vera causa delle inettitudini italiane di questi ultimi vent’anni.

Giuseppe Maneggio

 

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