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L’imperativo è sempre quello: svendere tutto

by Giuseppe Maneggio
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letta-enrico-Brookings-Institution-reuters-kc--258x258@IlSole24Ore-WebNew York, 19 ott – Il tema delle privatizzazioni dei cosiddetti “gioielli di famiglia” resta sempre sul tavolo dell’attuale esecutivo pronto a dar in pasto aziende e campioni dell’industria nazionale pubblica in mano ad interessi sovranazionali facendo credere all’opinione pubblica che questo sia necessario per abbattere il debito pubblico. Il presidente del Consiglio Enrico Letta difatti, nell’intervista concessa ai media americani, ha detto che il governo vuole cedere il 4,9% di Terna. E’ quanto riferisce una fonte di Palazzo Chigi per chiarire il senso di una frase del premier sulla società quotata di cui il governo detiene il 29,9% tramite Cassa depositi e prestiti.

Alla domanda su come intenda far cassa per abbattere il debito, Letta risponde: “Con il processo di privatizzazioni. Credo che i mercati siano ora pronti a comprare e noi cederemo asset pubblici… Fincantieri, ad esempio. Venderemo una quota di Terna, che è la rete elettrica nazionale. Naturalmente non per il 100%, ma al 49%”. “Letta intendeva dire che il governo vuole vendere il 4,9% di Terna”, ha detto la fonte.

Noi siamo del parere contrario, ma per meglio contestualizzare con numeri quanto sia inutile vendere le aziende di Stato, applicando un  briciolo di matematica basilare, possiamo dire che stanti circa gli 90 miliardi di interessi sul debito da pagare all’anno, stante un deficit prossimo venturo del 3%, ossia circa 45 miliardi di euro annui, ogni anno l’Italia deve pagare qualcosa di simile ai 135 miliardi di euro solo per mantenere le cose come stanno. Dunque, vendere le aziende di Stato ricavando, all’incirca tra i 60 e i 70 miliardi di euro, non risolve il problema, anzi lo peggiora nel medio termine, come già successo durante gli anni ’90.

Insomma, oramai appare tutto deciso: stiamo andando incontro ad una massiccia deindustralizzazione e conseguentemente ad una economia pilotata da soggetti stranieri. E’ come se il decennio di grandi svendite (quello che va dal 1992 al 2002 per intenderci) nato subito dopo Tangentopoli, non ci abbia insegnato nulla. Durante quel periodo un intero sistema economico venne distrutto e tutto quello che aveva reso l’Italia uno dei più grandi paesi a livello internazionale fu ridotto a poco più che uno spezzatino. Grazie allo scempio di queste svendite l’Italia si è giocata il 36% del suo Pil, e cioè della sua ricchezza. I maggiori artefici di questo processo predatorio dello Stato italiano sono gli stessi uomini che ci hanno consegnato nelle mani dell’Europa e nella morsa della moneta unica. Sono gli stessi che oggi vengono pontificati come profeti della buona politica e “grandi statisti”.

Giuseppe Maneggio

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