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Maccaferri, uno dei più importanti gruppi industriali italiani rischia il fallimento

by Salvatore Recupero
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Maccaferri, azienda

Bologna, 27 feb – La Maccaferri Spa sta vivendo momenti difficili. La Procura di Bologna ha presentato istanza di fallimento per Seci la società di riferimento del gruppo bolognese. La richiesta è stata accolta dal Tribunale felsineo fissando l’udienza il prossimo 3 aprile. Si tratta di una scelta drastica ma, a detta delle toghe emiliane, inevitabile. L’anno scorso, infatti, una parte dell’azienda era stata ammessa al concordato preventivo. In pratica, aveva chiesto una proroga per presentare una proposta e un piano concordatario. Il termine ultimo era il 3 gennaio. Purtroppo, i documenti richiesti non sono mai arrivati. Secondo il procuratore capo Giuseppe Amato: “Dalla situazione contabile rilevabile dagli ultimi tre bilanci emerge un vero e proprio stato d’insolvenza irreversibile”. Il grave stato di dissesto patrimoniale e finanziario è stato anche registrato dagli accertamenti della Guardia di Finanza di Bologna. Dalle indagini delle Fiamme Gialle è emerso un patrimonio netto negativo di oltre 65 milioni al 31 gennaio 2018. A questo punto è lecito chiedersi cosa ha causato la crisi di una delle più importanti multinazionali italiane.

Maccaferri, un marchio storico

Maccaferri è un colosso con 70 filiali, 30 impianti di produzioni e più di 3000 dipendenti. Questa crisi colpisce, dunque, uno dei più importanti gruppi italiani con gravi ripercussioni sulla nostra presenza nei mercati internazionali. Un’azienda che da quasi 140 anni è attiva nel campo dell’ingegneria civile, geotecnica e mineraria. Quando il marchio fu registrato alla Camera di Commercio di Zola Predosa, i Maccaferri erano solo dei fabbri. La prima svolta avvenne a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento con la realizzazione dei cosiddetti gabbioni (strutture di ferro, riempite di pietre, usati come argine in opere di difesa idraulica).

Nel 1944 gli stabilimenti furono rasi al suolo dai bombardamenti degli “alleati”. Nel giro di un paio d’anni l’azienda si riprese e costruì la prima fabbrica nei pressi di Salerno. Dagli anni Settanta fino al 2000 la società conobbe uno sviluppo impressionante. La famiglia Maccaferri seppe diversificare le attività per adattarsi ai cambiamenti. Si va dall’ingegneria meccanica a quella ambientale, con importanti investimenti nel settore dell’energia dell’agroalimentare e perfino del tabacco. Nel 2018, però, qualcosa andò storto. Anzi, è più corretto dire, che 2 anni fa molti nodi vennero al pettine. Nel giro di pochi mesi il celebre marchio si ritrovò sommerso da una montagna di debiti. Vediamo perché.

Le ragioni della crisi

Purtroppo, negli ultimi due anni la diversificazione ha dato pessimi risultati. Ciò che era stato un punto di forza è diventato un boomerang. Facciamo due esempi. La Exergy (società del gruppo venduta ai cinesi) ha pagato a caro prezzo gli investimenti in Brasile. In Sudamerica aveva stretto una partnership con Enel Green Power per realizzare il parco eolico più grande del continente americano. L’affare, però, è sfumato quando il governo di Brasilia ha deciso di fare un passo indietro.

Sempre nel 2018 l’azienda ha subito un pesante colpo, questa volta nell’agroalimentare. Maccaferri tramite la holding Sadam aveva un ruolo rilevante nel settore dello zucchero. Un mercato che in Italia sta attraversando un momento molto difficile. Infatti, il gruppo ha sospeso la campagna bieticolo-saccarifera. Fortunatamente, a mantenere in piedi la baracca ci pensa il ramo legato alle attività più consolidate. Tra le aziende sane del gruppo, per le quali non si è reso necessario il ricorso al concordato preventivo, ci sono anche le Officine Maccaferri, specializzate in lavori di ingegneria ambientale. L’ingegneristica, però, non è bastata a mettere al riparo i conti del gruppo. Si parla di circa 750milioni di euro con alcune grandi banche come Intesa, Unicredit e Banco Bpm. Inoltre, l’azienda è esposta anche con il fondo d’investimento Carlyle Strategic Partners.

I fondi d’investimento si contenderanno il gruppo

Nel 2014 la società emiliana aveva emesso un bond del valore di 190 milioni di euro prevedendo una cedola del 5,75% con scadenza nel 2021. Fiutato l’affare, il private equity guidato in Italia da Marco De Benedetti (figlio del più famoso Carlo) ha rilevato una quota del 51% del bond. Ora che le cose si mettono male, Carlyle busserà alle porte della famiglia Maccaferri. L’obiettivo potrebbe essere quello di mettere le mani anche sulla parte sana dell’azienda offrendo in cambio lo stralcio di una parte del debito. Intanto, si fanno avanti anche altri fondi come il tandem Hps-Oxy. Soggetti diversi ma con un obiettivo comune: controllare l’economia reale utilizzando strumenti finanziari complessi.

Salvatore Recupero

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Francesco 28 Febbraio 2020 - 11:36

viene da chiedersi come possano esporsi per centinaia di milioni di euro banche primarie come INTESA SANPAOLO, UNICREDIT, senza alcuna garanzia….

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