Roma, 7 mar – Un monito «severo, ma nella direzione di quello che pensiamo noi». Queste le parole del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan a commento delle raccomandazioni giunte dall’Europa in merito a scarsa crescita, competitività e altre problematiche che affligono ormai strutturalmente l’Italia. Una risposta non diplomatica ma totalmente assertiva. In altre parole: il governo è pronto a rispettare gli impegni presi e farà i propri compiti a casa.
Se ci si aspettava il cambiamento di rotta sulla scorta del sorriso ammaliante di Matteo Renzi, la maschera è caduta pressoché immediatamente. A questo punto vien da chiedersi dove verranno trovate le risorse per sostenere le coperture ai roboanti annunci fatti dall’ex sindaco di Firenze, che dovrebbero portare crescita, sviluppo, lavoro. Si parla di decine di miliardi che fanno la differenza in termini di rispetto o meno degli stringenti capitoli di bilancio, sui quali Bruxelles non è disposta a negoziare. Non che siano vincoli di un qualche senso logico (la spesa in deficit è uno dei pilastri di qualsiasi politica economica sovrana), ma o si segue la linea dettata da Olli Rehn o si ricomincia a sforare il tetto del 3%. Tertium non datur.
Questo a meno di non ricorrere all’arma, per quanto spuntata, delle privatizzazioni. E’ notizia di ieri il via libera, dato in Commissione Lavori pubblici del Senato, al primo passaggio per la cessione del gruppo Poste Italiane. La quotazione della società controllata al 100% dal ministero dell’Economia doveva vedere la luce non prima dell’autunno e perfezionarsi poi nell’arco del 2015. Non è a questo punto escluso che i tempi possano sensibilmente accorciarsi. Lo afferma tra le righe il relatore del dl Raffaele Ranucci (Partito Democratico): «E’ stato previsto l’impiego delle risorse derivanti dalla privatizzazione […] per l’abbattimento del debito pubblico». La cifra che lo Stato punta ad incassare, per una quota appena al di sotto del 50%, oscilla tra i 4 e i 5 miliardi che rappresentano non più dello 0.45% dell’immensa mole del debito. A fronte della rinuncia a parte di un dividendo che per le casse pubbliche negli ultimi anni ha veleggiato attorno al miliardo ogni esercizio. Scarso quindi l’impatto sulla massa dell’indebitamento per un’operazione che in termini di bilancio è voce tipicamente “straordinaria”, vale a dire una tantum. Questo mentre le scelte di politica fiscale hanno necessità di coperture pluriennali, per cui a partire dalla finanziaria che verrà licenziata a novembre per l’anno prossimo saremo di nuovo punto e a capo.
Filippo Burla