Così non va. E cominciano a vedersi le prime crepe. Due giorni fa il ministro russo dell’Energia, Aleksandr Novak, aveva parlato di possibili incontri con i sauditi per cercare una qualche strategia comune: “I Paesi dell’Opec stanno provando a convocare un incontro con la partecipazione di rappresentanti dell’Opec e di Paesi esterni all’Opec. Noi, da parte nostra, abbiamo confermato la possibilità di una partecipazione”. La Russia non fa infatti parte del potente cartello ma si tratta comunque, con quasi 11 milioni di barili al giorno, del terzo produttore mondiale, che diventa il secondo se non si considera la quota di shale che ha proiettato gli Usa in cima alla classifica scalzando anche Riyad. Ieri è però arrivata la frenata dal potente capo di Rosneft, Igor Sechin: “Non è successo niente di nuovo. Abbiamo continuamente consultazioni con l’Opec, tutte le posizioni sono ben note e non sono cambiate”.
Fra i contrari a possibili tagli sicuramente l’Iran, membro dell’Opec, che non vuole perdere le quote di mercato che sta riprendendo dopo che – da poche settimane – si è concluso l’embargo ed è pronta ad inondare il mondo del pregiato petrolio della persia. Intanto, però, il ministro venezuelano (anche il Venezuela è nell’associazione dei produttori) del Petrolio, Eulogio del Pino, si recherà a breve a Mosca per cercare di affrontare la questione. Senza dimenticare che Lavrov sarà a breve in viaggio presso un’altra potenza Opec, gli Emirati Arabi Uniti, sesto paese al mondo per estrazione, per un incontro che avrà all’ordine del giorno anche discussioni sul tema dell’eccesso produttivo.
Secondo alcuni analisti potrebbe essere plausibile un accordo, anche senza l’unanimità Opec, su una riduzione del 5% nella produzione. L’indiscrezione ha fatto risalire sui mercati i corsi del barile, anche se per adesso si tratta solo di mere ipotesi.
Filippo Burla