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I soldi del Recovery Fund? Pochi, maledetti e in ritardo. Ecco perché il piano è già un fallimento

by Filippo Burla
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Roma, 13 giu – Acquisita la ratifica della decisione sulle risorse proprie da parte degli Stati membri, la Commissione Europea sta lavorando in questi giorni alle valutazioni sui piani nazionali. I primi saranno “bollinati” entro la prossima settimana. Successivamente verranno trasmessi al Consiglio Ue, che avrà un mese di tempo per approvarli in via definitiva. Solo dopo – nel frattempo si inizierà la raccolta di fondi sul mercato – il tanto agognato Recovery Fund potrà iniziare a marciare.

Non subito e non tutto, però. Entro l’estate – ammesso che tutto fili liscio – il regolamento del Next Generation Eu (questo il nome ufficiale del Recovery Fund) parla della semplice possibilità di erogare un acconto sulle somme. Quanto vale? Il 13% del totale. Significano, per l’Italia, all’incirca 25 miliardi. Questo l’ammontare del “prefinanziamento” accordato.

Il Recovery Fund arriva con (almeno) un anno e mezzo di ritardo

Verrebbe quasi da ridere. A praticamente un anno e mezzo dall’inizio della pandemia, con migliaia di attività già finite sul lastrico (e, per adesso, quasi un milione di disoccupati in più), la montagna Unione Europea tanto di topolino è riuscita a partorire. Parliamo, giusto per dare un termine di paragone, di una frazione delle somme stanziate dai vari governi con i vari scostamenti di bilancio.

I 25 miliardi della “pioggia di risorse” (che tale non è: il Recovery Fund ci costerà e non poco) non sono però solo tardivi, dunque per definizione inutili, ma anche pericolosi. Come già abbiamo avuto modo di dire, gli obiettivi sono fissati dall’Ue nel più classico formato della taglia unica valida per tutti i 27. A fronte di centinaia – se non migliaia – di diverse esigenze, Bruxelles ne sceglie solo alcune. Quelle, nello specifico, che più si adattano alla sua agenda “green” e digitale. Guideremo macchine elettriche su strade che sembrano dei colabrodo, insomma. Oppure faremo andare i nostri figli in aule didattiche votate all’informativa mentre gli edifici delle scuole cascano a pezzi.

Leggi anche: Recovery Plan: il libro dei desideri (dell’Ue) di cui non sentivamo il bisogno

Paghiamo noi per la crescita altrui

Il tutto con finanziamenti (a carico nostro) che orienteranno l’economia italiana verso una sempre maggiore dipendenza dall’estero. Lo dice chiaro e tondo il Pnrr varato dall’esecutivo Draghi: a fronte di una scarsa crescita aggiuntiva – inferiore all’1% annuo – assisteremo ad un più che discreto peggioramento della bilancia commerciale. Questo perché le priorità Ue si innestano su filiere di cui – si pensi ad esempio al settore delle rinnovabili – non disponiamo (o ne disponiamo solo in parte) e che non è possibile creare nel brevissimo termine. Peccato che i soldi del Recovery Fund vadano spesi subito: il 70% delle risorse sono da impegnare entro il 2022, il 100% entro il 2023.

Ecco, quando si dice che presto e bene non vanno insieme. O che la gatta frettolosa fa i gattini ciechi. Peccato che in questo caso la mamma non sia una graziosa micetta, ma un pachiderma burocratico. E si chiami apoteosi del vincolo esterno.

Filippo Burla

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3 comments

Gerardo Imbriani 13 Giugno 2021 - 9:55

Povera Italia.

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Arturo 16 Giugno 2021 - 5:54

Ad esser maliziosi sembra un astuto piano che per ripagare il prestito preveda un aumento della pressione fiscale che potrebbe rendere il nostro paese appetibile come il Burkina Faso per gli imprenditori.

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Polo strategico nazionale: chi gestirà il cloud della Pa? - 3 Ottobre 2021 - 12:13

[…] di una comune gara d’appalto. Intanto cominciamo col dire che per il Polo Strategico Nazionale il PNRR, finanziato con il debito emesso dalla Commissione Ue, prevede circa 2 miliardi nell’ambito della […]

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