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Sorridi, il Kuwait si è comprato la tua nazione

by Gabriele Taddei
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31+Al+Mazaya+Holding+Company Kuwait City, 5 feb – Occhio tonto, sorriso guascone. Enrico Letta giubila orgogliosamente per l’arrivo di 500 milioni di euro di investimento del fondo sovrano del Kuwait in Italia.

Ennesima zappata sui piedi. Ma, per capire di cosa stiamo parlando, facciamo un passo indietro.
Cosa sono i fondi sovrani? Sono i nuovi padroni della finanza mondiale.

Al di là dei balocchi più o meno seri degli investitori privati, degli squali della finanza tra i quali campeggia incontrastato – ultimo dei mohicani – quel Soros speculatore durante le avventurose cavalcate liberiste negli anni novanta e armatore di rivoluzione colorate oggi, i fondi sovrani hanno acquisito un potere abnorme con una potenza di fuoco pari ad un totale di diverse migliaia di miliardi di dollari e controllando pacchetti azionari di società pari a 2mila miliardi. Oggi sono circa una ventina e capaci di canalizzare l’economia e la finanza mondiali: i fondi più numerosi e potenti sono quelli arabi (Emirati Arabi, Arabia Saudita, Kuwait, Libia, Qatar, Brunei e Oman) che costituiscono almeno un terzo del settore, ma brillano anche gli asiatici (Cina, Singapore) e occidentali (Norvegia, Canada, Russia).

I loro capitali derivano in alcuni casi, soprattutto per quanto riguarda paesi arabi ed occidentali, dalla produzione, lavorazione e vendita di risorse minerarie ed energetiche, in altri dalle esportazioni commerciali (Asia in primis), ma c’è anche chi gestisce fortune ottenute sui proventi da surplus della bilancia dei pagamenti, operazioni in valuta straniera, proventi di operazioni di privatizzazione, surplus fiscali. L’obbiettivo è quello di investire questi capitali in prodotti finanziari con una programmazione di lungo periodo, completando le strategie di breve periodo realizzate con le riserve nazionali, con diverse finalità: ad esempio finanziare lo sviluppo del paese o integrare il sistema pensionistico, fondi per il risparmio o accumulo di riserve.

I fondi sovrani stranieri operano in Italia da qualche tempo: quello del Qatar ha costituito una joint venture (IQ Made in Italy Venture) con il Fondo Strategico Italiano (FSI), braccio finanziario della Cassa depositi e prestiti (Cdp), per investire nelle eccellenze italiane dei settori moda, lusso e alimentare, veicolando infatti l’acquisto di Valentino Spa ed interessandosi anche del marchio Versace. Il fondo degli Emirati Arabi Uniti, l’Abu Dhabi Investment Authority, è nel capitale di Unicredit, ma fece soprattutto scalpore per l’acquisto di una quota minoritaria in Ferrari. Ma legame più importante è forse quello con il Lybian Investment Authority, anche per i noti trascorsi storici, con partecipazioni tra le maggiori in Eni, Fiat, Unicredit e Juventus. Della campagna acquisti cinese abbiamo già parlato in passato del settore energetico, per quanto riguarda i fondi d’investimento ci si riferisce alla China Investment Corporation, capace di sbattere sul tavolo circa 330 miliardi di dollari.
ad20110814242046-bahrain_s_smallMa non pensiamo per questo di essere le pecore nere della classe. Gli investimenti in Italia, grazie alla perifericità della nostra borsa e della struttura statale e familiare del capitalismo nostrano, sono solo una goccia nel mare degli investimenti dei fondi sovrani: ad esempio il Qatar Holding possiede quote in Cina (che rappresenta il 30% del portafoglio) mentre in Europa il peso maggiore è in Germania (21%), Regno Unito (13%), Francia (5%), Svizzera (2%) e Spagna (2%). Citigroup, Bank of America, Barclay, Merril Lynch, Morgan Stanley, Ubs, Hsbc, Credit Suisse, Harrods sono solo una minima parte dei grandi marchi implicati. Mal comune, mezzo gaudio?

Quello esaltato stamani da Letta, il Kuwait Investment Authority (KIA), è il decano nel mondo: creato nel 1953 dallo sceicco Abdullah Al-Salem Al-Sabah, allora a capo di un territorio ancora sotto dominazione britannica e che otterrà l’indipendenza solo otto anni dopo, ebbe l’obbiettivo primario di sollevare l’economia del paese dalla dipendenza del petrolio. Oggi, ben lungi dal possedere un’economia interna diversificata, il Kuwait incanala il 10% dei profitti derivati ogni anno dalla vendita di idrocarburi nel Reserve for Future Generations, gestito direttamente dal KIA, ed ha a disposizione oltre 250 miliardi di dollari, detenendo all’interno del portafoglio quote in società come Blackrock, gruppo di gestione che ha partecipazioni nelle aziende di mezzo pianeta e che naturalmente ha condotto un discreto shopping anche in Italia.
Il nuovo accordo prevede la costituzione di una newco, di proprietà per l’80% del FSI e per il 20% di KIA, che avrà una dotazione di 2,5 miliardi di euro – apportati quindi per una quota pari a 500 milioni dal Kuwait – e capace di investire nel tessuto produttivo nazionale.

“Oggi – questo l’annuncio del premier – è stato finalizzato un importante accordo con il Kuwait. Il Fondo strategico del Kuwait (Kia), che è il più antico dei fondi sovrani, ha deciso di investire sull’Italia 500 milioni di euro messi subito tutti d’un colpo, denaro contante, per capitalizzare il Fondo strategico italiano della Cassa depositi e prestiti. Le risorse saranno gestite dal nostro Fondo strategico per rilanciare le imprese italiane”.

In realtà è stato creato un fondo internazionale, in cui c’è la seria possibilità possa essere riversata tutta una serie di partecipazioni statali nell’industria strategica italiana (Eni, Finmeccanica, Sace, Poste,…), che fanno gola a molti, e col tempo inserirsi in tutto lo scacchiere economico nazionale considerato che al momento l’indice italiano è svalutato del 56% rispetto ai livelli pre-crisi del 2007.

Prima il presidente-operaio, adesso il presidente-mercivendolo.
E pure gonzo.

Gabriele Taddei

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Krizia ai cinesi: la moda italiana nelle grinfie del Dragone | IL PRIMATO NAZIONALE 25 Febbraio 2014 - 11:12

[…] le grinfie del China Investment Corporation, il fondo sovrano della Repubblica Popolare Cinese. Una ‘cosetta’ capace di lanciare sul tavolo 330 miliardi di euro a scopo investimento del surplus commerciale cinese all’estero e che, per ovvi motivi, non tiene […]

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