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Stellantis mette già le mani avanti: “Gli stabilimenti italiani costano troppo”

by Filippo Burla
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Roma, 28 feb – Fra i 3 e i 4 miliardi di euro. Forse addirittura 5. A tanto ammonterebbero, secondo i protagonisti della fusione (che non è una fusione) che ha portato alla nascita di Stellantis, le “sinergie” derivanti dall’unione tra Fca e Psa. L’utilizzo del termine non è nuovo agli addetti ai lavori. Tradotto dalla neolingua, fa rima con risparmi. O, per meglio dire – dato che la partita doppia non è un’opinione – con tagli. Se intuire dove avrebbero colpito non era difficile, sono bastate poche settimane perché il nuovo gruppo gettasse la maschera.

Per l’ad Stellantis l’Italia è troppo costosa

A dare il via alle danze ha pensato l’amministratore delegato (confermato da oltralpe, dove mantengono saldo il controllo sulla maggioranza del cda) Carlos Tavares. Cogliendo l’occasione della visita ai siti produttivi italiani, nel corso di un incontro con le parti sociali avrebbe individuato nei loro eccessivi costi un fattore di debolezza. Specie se confrontati con quelli delle altre nazioni in cui la neocostituita società opera.

Gli elevati costi non sarebbero però legati alla componente della manodopera: “In Italia i salari reali sono più bassi di quelli francesi, ma il costo del lavoro per unità di prodotto è molto più alto”, avrebbe spiegato l’ad di Stellantis. Non una novità: in media, il costo (lordo) orario del lavoro in Italia è almeno del 20% in meno rispetto ad esempio alla Francia.

Stabilimenti sottoutilizzati

Per comprendere a cosa si riferisce allora Tavares possiamo solo avanzare ipotesi. Indiziato speciale è il tasso di utilizzo degli impianti: meno capacità viene utilizzata, meno i costi fissi incomprimibili si posso “spalmare” sui beni (automobili, nel nostro caso) prodotti. Circostanza che, per quanto riguarda la (fu) Fiat, vale ad esempio per Alfa Romeo, marchio che nonostante una riconosciuta eccellenza non riesce a raccogliere i successi sperati. Analogo discorso anche per quanto riguarda Maserati.

Che fare, allora? Una soluzione potrebbe essere quella di aumentare i volumi per portare a saturazione gli stabilimenti. Si può fare tramite due strade: investendo su una miglior commercializzazione per sfondare sul mercato oppure estendendo la gamma dei modelli realizzati in Italia. Perché si possa capire da che parte si andrà bisogna attendere il piano industriale, previsto nei prossimi mesi. Nel frattempo, le delocalizzazioni colpiscono persino la madrepatria di Stellantis. Non proprio il miglior viatico.

Filippo Burla

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2 comments

Fabio Crociato 28 Febbraio 2021 - 7:37

Una piccola domanda a F.Burla: secondo Voi la domanda individuale (sic!!) tenderà verso pochi beni ma di qualità o piuttosto sempre verso il voler tutto seppur di qualità alla cinese? Delocalizzare ha un significato e risultato preciso… (Arnia-Alfa dice nulla?).
Contro ogni saturazione che porta licenziamenti inevitabili e sopportare, galleggiare con remunerazioni, gabelle, costi più variabili possibile perché la questione vera si gioca sul margine e le scelte nei tempi medio-lunghi. La natura è elastica non anelastica!

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Fabio Crociato 1 Marzo 2021 - 6:48

Quel cesso di vettura (con produzione delocalizzata al sud), si chiamava Arna, non Arnia!
(A proposito, prima si poteva commentare e verificare la giustezza dei termini uscendo dal sito e rientrando in corso di digitalizzazione, ora non più).

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