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Telecom prova a difendersi dall’assalto francese. Ma sono solo sotterfugi

by Filippo Burla
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Telecom convertirà le azioni di risparmio, facendo così diluire le quote in mano a Vivendi e Niel. Basterà per difendersi?

Roma, 6 nov – Telecom affila le armi e prova a difendersi dalle mire della Francia che, con Vivendi e Niel, ormai controlla oltre il 35% del capitale sociale dell’ex monopolista pubblico. Ma il tentativo sembra raffazzonato, più che altro un sotterfugio. Lecito, ma pur sempre una scappatoia da “ultima spiaggia”.

Telecom converte le azioni

La strada scelta è quella della conversione delle azioni di risparmio. Si tratta di strumenti simili alle azioni, ma con un rendimento superiore e senza però alcun diritto di voto. La conversione, che si attendeva da ormai vent’anni, è stata decisa ieri dal consiglio di amministrazione e dovrà ora andare al vaglio dell’assemblea degli azionisti.

In caso di approvazione, Telecom Italia riuscirà in questo modo a racimolare circa 600 milioni di euro, oltre a risparmiare più di 150 milioni ogni anno in termini di extra-dividendi staccati.

Perché Telecom converte?

C’è però di più. La conversione, infatti, avviene in un momento assai delicato per il principale operatore telefonico italiano. E cioè nel bel mezzo di strane operazioni condotte dal finanziere monegasco Xavier Niel, che ormai ha raccolto (sia pure solo in forma di opzioni) oltre il 15% del capitale di Telecom.

La mossa sembra quindi essere di tipo difensivo, dato che al termine della conversione – e qualora tutti convertissero – le quote attualmente detenute dai francesi verranno a diluirsi: Vivendi passerebbe dal 20.5 a circa il 14%, mentre Niel (tramite Rock Investments) dovrebbe scendere al di sotto del 7%.

Una mossa difensiva

Vista così, la mossa appare del tutto difensiva. A che pro? E’ presto per dirlo, ma l’aggressività transalpina sembra preoccupare Telecom. Ancora non è dato sapere il perché dei continui raid di Niel, che pian piano sta limando al rialzo la sua partecipazione senza capire a che pro o, con una piccole dose di retropensiero, a vantaggio di chi.

Qualora però la scelta del CdA fosse volta a mettere i bastoni fra le ruote ai francesi, cascherebbe male. Anzitutto perché sia Vivendi che Niel hanno le carte in regola per rispondere. In secondo luogo in quanto sembrerebbe una utopica e fuori luogo difesa dell’italianità dell’azienda. Utopica perché ormai l’italianità è già persa da tempo: prima il socio forte erano gli spagnoli di Telefònica, ora la maggioranza relativa è in mano Vivendi. Fuori luogo perché i due precedenti tentativi di difendere l’italianità sono serviti, grazie ai famosi “capitani coraggiosi” (con i soldi degli altri), solo a far lievitare il debito e preparare il terreno alla razzia estera.

L’unica strada percorribile, se si vogliono davvero tutelare i destini futuri di Telecom Italia per evitare che venga vampirizzata da oltralpe, sarebbe dunque quella che passa dal governo. Ma dai ministeri, fatta salva qualche generica ed inconcludente preoccupazione, per il momento non è ancora volata una mosca. Anzi, per colpa di Monti e della sua revisione (su mandato Ue) della golden share lo Stato si è pure tagliato le gambe da solo: perché le reti di comunicazione sono un’infrastruttura più che strategica anche in termini di sicurezza nazionale, ma un eventuale intervento è escluso visto che gli attori della partita sono tutti europei.

 

Filippo Burla

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