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L’insopportabile (e vecchia) retorica di Saviano da “Amici”

by Adriano Scianca
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Copia di Maria De Filippi e Roberto Saviano-5557Roma, 10 apr – “Non canto non ballo, eppure in realtà sono convito che questo è il posto giusto”. Così Roberto Saviano si è presentato ai ragazzi di “Amici” nella prima puntata del talent che andrà in onda domani sera.

Non canta e non balla, Saviano, ma sarebbe stato meglio se lo avesse fatto, anziché rifilarci il soporifero sermone sull’immigrazione con una spruzzata di antifascismo che certifica, semmai ce ne fosse stato bisogno, la sua totale regressione a sepolcro imbiancato anni ’70, con buona pace delle prime interviste in cui citava Jünger, Pound e Céline, forse puntando inizialmente sul cavallo sbagliato.

Non è mai stato un mostro di simpatia, Saviano, ma almeno una volta mostrava tracce di energia e anche una certa volontà di non farsi incasellare come il classico compilatore compulsivo di appelli antifascisti. Ora sembra di sentire Asor Rosa e l’esperimento“giovanilistico” alla Renzi non fa che aumentare il senso di straniamento.

Con sillogismo scricchiolante, l’autore di Gomorra (e di… vabbé, gli altri libri non se li ricorda nessuno, tanto) passa da un retorico elogio della giovinezza in cui si ha spesso voglia di partire al dramma dei “migranti”. Ma che c’entra? Niente, ovviamente, ma volendo evitare il suicidio di massa pressoché certo se avesse iniziato un’altra volta a parlare dei Casalesi ma non volendo comunque rischiare di dire cose scorrette, l’immigrazione era praticamente un tema scontato.

Lo scrittore fa vedere alcune foto: quella della bambina del campo profughi siriano che alza le mani di fronte alla macchina fotografica credendo che sia un’arma da fuoco e quella di due ragazzi africani nel doppiofondo di una macchina diretta a Melilla, l’enclave spagnola in territorio marocchino.

“L’informazione – spiega – è come un lago ghiacciato, ci puoi pattinare sopra, scivolandoci, stando in piedi, puoi appagarti di un titolo, puoi appagarti di un’opinione oppure puoi rompere quel ghiaccio tuffarti andare in fondo e farti un’opinione tua, prendere diverse fonti, avere un’idea, cambiarla”.

Ma cosa c’è di più superficiale, emotivo, non documentato di affrontare problemi delicati e questioni complesse basando tutto sulle impressioni lacrimevoli di una foto sbattuta in pasto a una platea mentalmente formattata sul grado zero dell’approfondimento? Saviano stesso, da sempre indefesso sostenitore dell’opposizione ad Assad oltre ogni plausibilità e credibilità, anziché dilettarci con esegesi fotografiche, non potrebbe spiegarci com’è stato possibile che i suoi eroici e idealisti difensori della democrazia si siano a un certo punto rivelati come tagliagole fanatici?

E pur con tutta la comprensione possibile per chi comunque sia prende una scelta drammatica e rischiosa come quella dell’emigrazione, come si può sostenere seriamente, in spregio alla lingua italiana e alla logica che “partire vuol dire spesso resistere”? Quindi, udite udite, chi fugge è il vero combattente.

Perché per Saviano partire vuol dire “difendere la propria dignità, avere fede – come religiosa – in una possibilità di migliorare la propria vita, quindi hanno fede nella speranza contro ogni possibilità, barche marce, soldi dati a questi trafficanti, ma hanno la fede che possa cambiare qualcosa, quindi immagino la loro attività come attività di resistenza”. Fuffa, solo fuffa. E poiché tutti i salmi finiscono in gloria, ecco la citazione di Piero Calamandrei sui partigiani, “morti senza retorica”. Chi si è sorbito il pistolotto sospirerà: beati loro.

Adriano Scianca

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