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Francia, processo Méric. Quando difendersi da un agguato è un crimine

by Giorgio Nigra
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Difendersi da un’aggressione premeditata è un crimine. È questa la conclusione a cui sembra essere giunta la corte francese che ha emesso due sentenze di condanna a 11 e 7 anni, più un’assoluzione, per, rispettivamente, Esteban Morillo, Samuel Dufour e Alexandre Eyraud, i tre giovani accusati di aver ucciso, nel giugno 2013, Clément Méric, un attivista antifascista che, insieme ad altri suoi sodali, aveva teso un agguato ai tre militanti di destra radicale. Parzialmente accolte, almeno per i due condannati, le richieste del pm, che aveva chiesto condanne a 12, 7 e 4 anni. Gli avvocati di Morillo e Dufour hanno annunciato che ricorreranno in appello.
I fatti risalgono al 5 giugno 2013, quando due gruppi di attivisti, uno antifascista e l’altro legato a Troisième voie, facente capo alla leggenda del mondo skinhead francese, Serge Ayoub, si incrociano in un negozio di abbigliamento Fred Perry. I due gruppi si studiano per 45 minuti, poi il contatto, che dura solo 7 secondi, abbastanza, tuttavia, per lasciare sul terreno il militante di Action antifasciste Paris banlieue, Clément Méric, giovane di diciannove anni, figlio di due docenti universitari, reduce da una recente leucemia e noto attivista antifascista.
Che cosa è successo, in quei 45 minuti? Il processo si è basato tutto su questo punto. Sappiamo che, inizialmente, né Morillo né Méric erano presenti nel negozio: entrambi sono stati chiamati dai loro sodali come rinforzi, dopo che i due gruppetti si erano incrociati nel negozio. Da quanto è emerso, sarebbero stati gli antifascisti i primi a provocare, già nel locale. Poi, una volta usciti dalla boutique, si sarebbero appostati poco lontano, chiamando altri attivisti e preparandosi all’agguato. Un vigile, chiamato dai titolari del negozio, avrebbe tentato prima di parlare con i militanti nazionalisti, per poi andare a cercare di fare lo stesso con gli antifascisti. È a lui che Méric avrebbe detto la frase “Questa gente non dovrebbe neanche essere in vita”, riferito al gruppetto di opposto orientamento. Quando, infine, nazionalisti e antifascisti si incontrano nuovamente, scoppia la rissa, breve ma violenta. Secondo i giudici, che gli hanno contestato per questo un’aggravante, Morillo avrebbe brandito un pugno di ferro, circostanza da quest’ultimo sempre negata. Su undici testimoni ascoltati, cinque hanno dichiarato di aver visto un pugno di ferro, sei invece no. Cinque medici hanno escluso l’uso del pugno di ferro, ma un sesto l’ha invece confermato. Tanto è bastato per far scattare l’aggravante nei confronti di Morillo, giovane proletario di origine spagnola.
I tre accusati, nel corso del processo, hanno preso le distanze dal mondo skinhead, mentre la parte del leone, nel dibattimento, è toccata allo stesso Ayoub, ascoltato come testimone ed entrato spesso in conflitto con i giudici, oltre a essere stato vittima di un tentativo di aggressione in tribunale da parte dei sodali di Méric.
Alla fine, malgrado la poca chiarezza sulla rissa e le numerose prove circa la premeditazione dell’agguato da parte della compagine antifascista, la sentenza è stata quella che era, purtroppo, facile aspettarsi.
Giorgio Nigra

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1 commento

michele 15 Settembre 2018 - 6:04

Ho frequentato l’ambiente skin del Veneto negli anni ’90. Non è cambiato nulla, processi farsa con sentenze scritte prima ancora di iniziare. onore al camerata avv.Bussinello candidato sindaco di Casapound che si è sempre speso per tanti giovani

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