Tel Aviv, 25 apr. – Il leader palestinese in sciopero della fame Marwan Barghouti sta male. Le sue condizioni di salute si sono deteriorate in seguito ai prolungati giorni di digiuno. Ha la pressione bassa e forti cali glicemici. Ma rifiuta le cure mediche. I direttori del carcere hanno chiesto a un altro detenuto di convincerlo a curarsi, ma costui ha rifiutato affermando che se muore Barghouti “muore un martire”. L’uomo è stato punito con il trasferimento in un altro carcere.
Il Napoleone di Palestina, detto anche il Nelson Mandela palestinese, è stato confinato in isolamento nel carcere di Jalama, nel nord di Israele, dopo che il New Tork Times ha pubblicato una sua lunga lettera in cui spiegava le ragioni dello sciopero della fame dei detenuti politici palestinesi nelle carceri israeliane.
A scioperare sono oltre 1500 prigionieri. Assumono solo acqua e sale. E le notizie che arrivano dalle prigioni di Israele sono assai confuse. Da parte israeliana si dice che almeno un centinaio di detenuti hanno smesso lo sciopero, come a testimoniare che della lotta palestinese un po’ se ne fregano, mentre da parte palestinese arrivano notizie completamente opposte, e che almeno altri 80 detenuti hanno cominciato il digiuno. Anche in merito alle condizioni di salute del detenuto più famoso della storia recente palestinese, Israele nega che ci sia un peggioramento. E non si sa bene come stiano gli altri detenuti dato che il pugno di ferro israeliano nei confronti di questo sciopero della fame vieta ogni contatto tra prigionieri e i loro avvocati.
Il partito Fatah, quello di Barghouti che gli ha negato la vicepresidenza nonostante dal carcere lui non abbia mai smesso di fare politica risultando il candidato più votato dai palestinesi, ha indetto per venerdì uno sciopero generale a sostegno dell’iniziativa dei detenuti. Non solo: i vertici del partito hanno anche avvertito che se uno solo dei detenuti morirà a causa dello sciopero della fame indiranno una nuova intifada. I dubbi su quest’ultimo aspetto, rimangono dal momento che nelle ragioni della protesta c’è proprio l’accordo tra Anp e Israele sulla sicurezza. E tra i vertici di Fatah e Barghouti i rapporti non sono poi così buoni. Dai tempi della morte di Arafat sono in molti, in Palestina, a considerare Barghouti il successore più adatto alla causa. Ma c’è Abu Mazen, che nonostante abbia 82 anni, non sembra voler essere messo da parte e ancora non ha designato un suo successore. Non è da escludere che a qualcuno molto in alto a Ramallah un naturale ridimensionamento di Barghouti potrebbe essere, se non un regalo gradito, quantomeno un ostacolo in meno da affrontare.
Quello iniziato il 17 aprile è il primo sciopero della fame indetto da Barghouti. Già in passato c’era stata la cosiddetta protesta delle pance vuote, ma mai prima d’ora il principale leader palestinese da dietro le sbarre aveva organizzato digiuni a oltranza. Israele si rifiuta di ascoltare ragioni e il pugno duro nei confronti dei detenuti scioperanti è prontamente arrivato. Ma Israele sa benissimo che Barghouti è l’unico leader del popolo palestinese che potrebbe portare a termine un vero negoziato. Considerato un terrorista e per questo condannato a scontare 5 ergastoli più 40 anni, è sempre stato un fermo sostenitore della soluzione a due stati, israeliano e palestinese. Il timore per Israele, piuttosto, sembra essere il carisma di Barghouti, unico vero personaggio politico palestinese che rappresenta l’unità in un momento in cui la leadership politica è profondamente divisa e frazionata.
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