Roma, 23 dic – La maggior parte delle azioni di guerra economica fanno parte della strategia indiretta, ossia non sono degli attacchi diretti e né devono essere divulgate. Nel caso di uno scontro tra potenze, si può ricorrere alla guerra economica in un momento di guerra militare (politica di blocco, chiusura delle vie commerciali, distruzione dell’apparato industriale nemico) o in tempo di pace (embargo, sanzioni di qualsivoglia natura, saccheggio tecnologico, razzia commerciale). Nel caso di uno scontro competitivo, si tratta più frequentemente di trappole tese all’avversario per farlo fallire nelle sue strategie di sviluppo, tagliarlo fuori da un mercato, indebolirlo a livello finanziario o commerciale, minacciare la sua immagine.
Esempi di guerra economica nella storia
Il finanziamento della spedizione di Cristoforo Colombo aveva come obbiettivo la ricerca di metalli preziosi che avrebbero portato ricchezze al regno di Spagna. L’evangelizzazione delle popolazioni locali era un pretesto che mascherava il vero scopo, quello della ricerca. D’altrone un’analisi comparata della storia degli imperi dimostra il ruolo fondamentale dei rapporti di forza economici nelle fasi di strutturazione e confronto tra i principali imperi che hanno segnato la Storia dell’umanità. Questa lettura è stata particolarmente chiara in occasione delle due Guerre dell’oppio, con lo scontro tra gli imperi colonialisti occidentali e l’impero cinese. La storia del XX secolo è inoltre costellata di conflitti militari di debole o media intensità il cui obiettivo economico è innegabile: uno degli esempi più chiari è stato il gioco di forza che oppose le potenze anglosassoni al Giappone quando quest’ultimo intendeva creare una sfera d’influenza geoeconomica in Asia. Una tale strategia andava a scontrarsi contro la visione che Washington e Londra avevano di quella parte di mondo. La scommessa era di ordine economico, militare e politico. Le potenze anglosassoni avevano cominciato a fare pressioni su Tokyo tramite delle misure di ritorsione commerciale, in particolare in materia di rifornimento del petrolio. L’occupazione della Manciuria fu la prima tappa della strategia giapponese di conquista militare ed economica che ha condotto il Paese del Sol Levante all’entrata in guerra contro gli Stati Uniti d’America. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il controllo del petrolio in Medio Oriente ha dato vita a molteplici scontri politici e militari. Sulla stessa linea, le risorse minerarie ed energetiche dell’Africa costituiscono una delle chiavi per comprendere le ingerenze esterne degli scontri interetnici che periodicamente scuotono il continente.
La mimetizzazione delle strategie di influenza nella guerra economica
Il pretesto degli aiuti umanitari ha consolidato la tecnica di dissimulazione degli obiettivi più strategici. L’Agenzia statunitense per lo Sviluppo Internazionale (Usaid) ne è ancora una delle espressioni più visibili. Istituita nel 1961 come continuazione del Piano Marshall, l’Usaid ha sempre avuto come obiettivo primario quello di fornire aiuti ai Paesi in via di sviluppo, per via diretta o per mezzo dei finanziamenti delle ong. In realtà, l’Usaid è uno strumento di influenza politica del governo degli Stati Uniti per contrastare l’influenza sovietica oltre i propri confini. Si tratta di “guadagnarsi i cuori e gli animi” dei futuri Paesi “liberi”, esportando il modello di democrazia creato dagli Stati Uniti. Dietro al lirismo di questa politica umanitaria, però, si trova anche il desiderio di conquistare nuovi mercati, persino destabilizzando i regimi ostili alle politiche raccomandate dalla Casa Bianca. Fin dalla sua fondazione l’Agenzia, finanziata dal denaro federale, ha incarnato l’idea stessa del soft power americano, rivoluzionando le abitudini dei servizi d’intelligence come la Cia. Mentre la priorità di quest’ultima era quella d’infiltrarsi nella popolazione attraverso gli aiuti umanitari, l’obiettivo principale dell’Usaid era influenzare gli abitanti di un villaggio o di un quartiere per riconquistare il controllo politico. La divisione dei compiti non era per niente scontata in quanto le operazioni d’influenza presso le popolazioni sotto la copertura degli aiuti umanitari si confondevano rapidamente con le strategie di contro-insurrezione controllate in parte dai servizi di intelligence.
Approfittando della fine della Guerra fredda, gli Stati Uniti hanno perfezionato il loro modello. La scomparsa temporanea dallo scacchiere di un nemico politico-militare come la Russia ha facilitato la mimetizzazione delle operazioni di influenza condotte nell’ambito umanitario. In Vietnam, ad esempio, l’offerta di aiuti finanziari stranieri, provenienti da intermediari anglosassoni, era accompagnata dall’offerta di servizi a completamento dell’installazione dell’apparecchiatura cartografica (avvocati per formulare una nuova legge fondiaria, ingegneri edili per studiare la realizzazione di una nuova rete stradale, urbanisti per riconfigurare lo sviluppo delle aree urbane). Gli aiuti allo sviluppo economico erano collegati a un discorso sull’educazione alla democrazia, la quale però non era gratuita. Gli aiuti finanziari rivolti alle economie emergenti per familiarizzare con gli strumenti della democrazia a volte mascheravano strategie nascoste di attori politici ed economici di un Paese.
Nel 1999, Bill Clinton ha raggruppato tutti gli strumenti d’influenza degli Stati Uniti, compreso l’Usaid, sotto il controllo del Dipartimento di Stato. La trasformazione dell’Usaid in uno strumento volto all’accrescimento della potenza è stato confermato dall’amministrazione Bush, il quale ha conferito ancora più importanza alle missioni d’influenza indirette. È così che l’Usaid si è impegnata nel finanziamento delle Ong al fine di rispondere ai bisogni primari dei Paesi in via di sviluppo nelle aree chiave dell’istruzione, sanità e nutrizione. La partecipazione a queste cause umanitarie ha permesso agli Stati Uniti di legittimare la loro presenza sul territorio. I sacchetti di farina consegnati in Africa con la scritta Usaid sulla confezione simboleggiavano sia la ricerca di un’immagine positiva come Paese che partecipa alla lotta contro la fame nel mondo, ma anche un modo per sostenere – senza esplicitarlo – l’esportazione americana di farina. Questo approccio bidirezionale aveva peraltro il merito di facilitare il consolidamento delle reti locali incaricate di raccogliere informazioni.
In altri termini, dare sostegno alle cause umanitarie è un sistema abile di penetrazione delle sovrastrutture politiche e culturali di un Paese. In un primo tempo, questa operazione cognitiva è stata teorizzata dai promotori della rivoluzione bolscevica. Antonio Gramsci elaborò la sua teoria sull’egemonia culturale a partire da un’analisi critica della sconfitta subita dal partito comunista italiano al momento del confronto con il movimento fascista di Benito Mussolini. In questo tipo di lotta per il potere politico, il confronto cognitivo è stato concepito da un punto di vista ideologico. Nei suoi quaderni scritti in prigione tra le due Guerre mondiali, Antonio Gramsci spiegò cosa intendeva per ricerca dell’egemonia culturale: “La classe borghese pone se stessa come un organismo in continuo movimento, capace di assorbire tutta la società, assimilandola al suo livello culturale ed economico: tutta la funzione dello Stato è trasformata: lo Stato diventa «educatore»”.
Il principio dell’egemonia culturale ha segnato gli animi sia in oriente che in occidente. Dal 1945, la lotta per la decolonizzazione ha aperto la strada a un nuovo spazio di manovra. Favorevoli alla scomparsa degli imperi coloniali europei, gli Stati Uniti hanno adottato un doppio linguaggio. Ufficialmente, erano solidali con il loro alleati nella lotta al comunismo in Indocina e poi in Africa. Officiosamente, appoggiavano le forze terzomondiste che cercavano di ottenere l’indipendenza. Promotrice degli ideali democratici, la potenza americana ha fatto dell’approccio umanitario il nuovo vessillo della sua politica con i Paesi del Sud. In un primo tempo, la specificità degli scontri indiretti della Guerra fredda ha portato i due blocchi a uscire dall’ideologia per semplificare le loro strategie d’influenza reciproca. Per gli Stati Uniti è stato più facile, rispetto ai sostenitori del modello sovietico, penetrare nella breccia aperta dalla lotta umanitaria. Spinti dal successo della loro industria in quei gloriosi trent’anni, si sono appropriati della dimensione umanitaria del sostegno allo sviluppo. L’URSS, spesso presentata come un regime totalitario fallimentare a livello economico, non ha potuto più contrastarli su questo terreno.
Giuseppe Gagliano
Umanitarismo o guerra economica mascherata? La vera natura degli "aiuti internazionali"
119