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Giuseppe Rossi, la parabola di un talento sfortunato

by Marco Battistini
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Roma, 10 mar – Nome banale e qualità fuori dal comune. Rovinate da una grandissima fragilità fisica. Come il cristallo, Giuseppe Rossi: punta brillante dal talento sfortunato. Ma soprattutto un enorme rimpianto per tutto il calcio italiano. Attaccante d’esportazione, secondo solo a Paolo Di Canio per reti segnate nei quattro campionati esteri più importanti: cosa sarebbe stato Pepito senza otto interventi alle ginocchia?

Un italiano in America

Classe 1987 il nostro nasce a Teaneck (U.S.A.), entrambi i genitori sono insegnanti di lingue. Cresce nella vicina Clifton, “in mezzo ad amici e compagni di scuola che giocavano a baseball, basket, football americano. A qualsiasi sport, tranne il calcio”. D’altronde siamo pur sempre nell’est degli States e ancora oggi gli yankee faticano a comprendere la portata sociale che ha la sfera di cuoio in Europa e America latina. Appena adolescente però Rossi, insieme al padre, si trasferisce in Italia. Più precisamente a Parma, dove viene tesserato nelle giovanili della società gialloblù.

Cinque anni con i ducali, un campionato Allievi vinto, oltre 200 reti. Ancora minorenne lo nota il Manchester United – all’epoca una delle squadre più forti del pianeta. Lo stesso Ferguson spinge per averlo con sé. L’affare si fa: in Inghilterra la giovane seconda punta conosce gradualmente il calcio dei grandi, togliendosi la soddisfazione di segnare (stagione 2005/06) all’esordio in Premier League. L’annata successiva si divide – in prestito – tra Newcastle e, cavallo di ritorno, a Parma.

Giuseppe Rossi, talento sfortunato: le reti a Parma e Villarreal

Con Ranieri, allora tecnico emiliano, è amore a prima vista. Alla prima in Serie A nel gennaio 2007 Pepito punisce subito il Torino, consegnando ai ducali una vittoria che mancava dall’ottobre precedente. Rossi mette il timbro anche in altri determinanti successi (Fiorentina, Livorno, Palermo, Messina) per una rimonta salvezza compiuta all’ultima giornata. Nove reti in cinque mesi convincono il Villarreal – società fondata il 10 marzo 1923 – a versare undici milioni nelle casse dei Red Devils.

Giocherà un lustro per il sottomarino iberico. E anche in Spagna Rossi colpisce al battesimo. Sono gli anni della consacrazione, nel 2010/11 sforerà i trenta timbri stagionali. Vamos e braccia al cielo, come un giocatore d’altri tempi. Dategli un centrocampista che sappia verticalizzare e sbucherà dal nulla dietro le spalle del difensore. Ricezione della palla in corsa, pochi fronzoli e sinistro secco: forse meno fantasioso rispetto ad altri giocatori dallo stesso tasso tecnico, il numero 22 verrà fermato solo dagli infortuni.

Una carriera fermata dalle ginocchia

A ventiquattro anni i gol in carriera sono già più di ottanta. Ma il 26 ottobre 2011 il ginocchio destro di Giuseppe Rossi, talento sfortunato del pallone italiano, cede seriamente per la prima volta. Rottura del legamento crociato, 557 giorni lontano dai campi. E senza l’attaccante il Villarreal, seconda forza della Liga nel 2008, retrocede. La Fiorentina (dal 2013 per un triennio) è l’occasione giusta per risorgere. Da quelle parti ancora ricordano la partita di Pepito, sontuosa tripletta nel 4-2 rifilato all’imbattibile Juventus. Il modo di giocare concreto ed essenziale – quindi tipicamente italico – di Rossi, deve fare nuovamente i conti con la fragilità delle sue articolazioni. Allo stop di quattro mesi del gennaio 2014 segue, nel settembre successivo, l’operazione in artroscopia che lo farà tornare solamente ad agosto 2015.

Volontà e malasorte corrono di pari passo. Eccolo ancora in Spagna – Levante, Celta Vigo – questa volta (aprile ‘17) saltano i legamenti del ginocchio sinistro. Genoa, Real Salt Lake (MLS) e Spal, nel campionato cadetto, le ultime esperienze prima del ritiro, ufficializzato lo scorso agosto.

Le delusioni mondiali di Giuseppe Rossi, un talento sfortunato

Serio e professionale, Giuseppe Rossi – un talento davvero sfortunato – non avrebbe mai sprecato le proprie doti naturali. Nonostante le continue avversità e le forzate pause in tempi così bui per il nostro pallone Pepito avrebbe fatto comodo alla causa azzurra. Per lo meno, molto più di quanto è stato utilizzato.

Pensiamo alle disastrose spedizioni mondiali 2010 e 2014, ovvero quando Lippi e Prandelli preferirono i vari Iaquinta, Balotelli, Cassano e Cerci. Si dice che Enzo Bearzot, commissario tecnico campione nel 1982, prima del calciatore sapesse scegliere l’uomo. Così fece con un altro Rossi, il famoso Pablito, fermato prima del Mundial da una squalifica di due anni. Il Vecio per Pepito aveva un debole, reso pubblico diverse volte. Un giocatore non può cambiare una squadra, è vero. Ma com’è finita quella volta in terra di Spagna lo sappiamo tutti…

Marco Battistini

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