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Estradizione e pena capitale: Italia più garantista con Touil che con i Marò

by La Redazione
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marò1Roma, 21 mag – La vicenda del giovane marocchino Touil Abdel Majid arrestato a Milano su mandato di cattura internazionale emesso dalle autorità tunisine crea le condizioni per un riaccendersi delle polemiche sulla vicenda dei due Marò Latorre e Girone arrestati in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori il 15/2/2012. Polemiche che riaccendo volentieri invocando una commissione d’inchiesta parlamentare.

Riporto il brano da un articolo de Il Fatto Quotidiano del 20/5/2015: “Venerdì (22/5 nda) si terrà la prima udienza per l’eventuale estradizione”, spiega a IlFattoQuotidiano.it Silvia Fiorentini, avvocato di Abdel Majid. L’udienza si terrà davanti ai giudici della quinta sezione penale della Corte d’Appello di Milano.

Sarà il primo passaggio tecnico del procedimento e in quella data verrà effettuata l’identificazione della persona per cui la Tunisia ha chiesto l’estradizione. In quella udienza, inoltre, verrà anche chiesto al marocchino se intende dare il consenso alla sua consegna alle autorità tunisine. Se da parte del marocchino ci sarà opposizione all’estradizione, come è probabile, il procedimento verrà poi aggiornato ad altra data per la discussione nel merito sul mandato di cattura e sulla richiesta di estradizione. In seguito i giudici dovranno decidere sa dare l’ok alla consegna del giovane alla Tunisia. Sulla carta potrebbe essere valutato anche il fatto che in Tunisia vige la pena di morte. E in questo caso potrebbe arrivare il “no” da parte dei giudici italiani.

Giustamente i magistrati italiani prima di decidere l’estradizione dovranno e vorranno valutare il merito delle accuse mosse dai magistrati tunisini, ma si può dire finora che se anche fossero circostanziate il giovane Abdel Majid per la legge italiana non è estradabile. Anzi, più le accuse fossero circostanziate e probatorie e meno diventa estradabile perchè prevedono la possibilità di condanna a morte, vigente in Tunisia per il reato di terrorismo. E l’Italia non può estradare chi è passibile di condanna a morte.

Ben diverso fu il trattamento riservato ai due Marò Latorre e Girone. Furono arrestati il 19 febbraio 2012, rientrarono in Italia per un11251701_10205642180548855_285520804_n permesso per votare il 22 febbraio 2013 e, dopo il “ripensamento governativo” sulla decisione di trattenerli in Italia, rispediti in India il 22 marzo 2013. Nessun esame delle accuse indiane, che a tutt’oggi non sono mai arrivate alla magistratura italiana, e nessun problema per la pena di morte fidando in un documento firmato da un funzionario dell’ambasciata indiana, spacciato come “impegno dell’India” e subito smentito appena i due rimisero piede in India.

E veniamo al punto. Temendo un ripensamento in sede politica il 13 Marzo 2013 mentre i due erano ancora in Italia depositai un esposto-denuncia alla magistratura italiana chiedendo che ai due fosse impedito di tornare in India perché A) non gli sarebbe stato garantito il giusto processo come emergeva chiaramente da una serie di vulnus dei diritti della difesa messi in atto dagli inquirenti dello Stato indiano del Kerala B) erano accusati di un reato passibile per le leggi indiane di condanna a morte (la famosa Sua Act, la legge indiana antiterrorismo). Stessa cosa fece negli stessi giorni il Gen. Fernando Termentini, argomentando sulla potenziale condanna a morte.

Ovviamente assistemmo impotenti al rientro dei due Marò in India, e in occasione del dibattito parlamentare seguito alle dimissioni del ministro degli Esteri Giulio Terzi in dissenso alla decisione del governo Monti ebbi a registrare gli sproloqui contro di me dagli scranni di Camera e Senato dove, con toni tribunizi e senza entrare minimamente nel merito dei fatti e della pena di morte mi si accusava di un “malinteso senso di superiorità occidentale”, rinfocolando polemiche sorte già ad aprile 2012 con una interrogazione parlamentare ostile firmata da 6 autorevoli onorevoli e alimentate in un crescendo rossiniano, con il supporto di autorevoli media nazionali, fino agli autorevoli sproloqui parlamentari.

Pochi giorni dopo (gli sproloqui) la stessa magistratura federale indiana mi dette ragione, azzerando le indagini fatte nel Kerala e ordinando alla polizia antiterrorismo NIA di rifarle da zero. Poi, a giugno 2013 arrivai alla prova documentale dell’innocenza dei due accusati, prova che le autorità indiane conoscevano fin dalla sera dei fatti, e da allora la vicenda si trascina senza autorevoli sproloqui ma con l’atteggiamento da gradassi delle autorità indiane compensato dalle saporite commesse di siluri per sommergibili, cannoni navali ed elicotteri militari. Pecunia non olet, ma lo sapevamo già con le antiche vicende gheddafiane dove le famose intemperanze verbali del Colonnello venivano compensate da corpose commesse: carri armati, missili, aerei, sistemi da guerra elettronica… nihil sub sole novi.

Ora è giustissimo che prima di estradare il giovane Abdel Majid la magistratura italiana valuti attentamente i documenti giudiziari inviati dalla Tunisia, e che in caso di estradizione pretenda l’impegno “formale” che non ci sarà una condanna a morte (è la nostra Legge) Ma questo non è successo per i nostri Marò, e gli stessi che nei prossimi giorni si spenderanno per il rispetto dei “sacri princìpi” di Abdel Majid sono gli stessi cialtroni che non hanno mai riconosciuto gli stessi princìpi a Latorre e Girone, sia sorvolando sulla pena di morte sia scrivendo che “hanno ucciso i pescatori”, sia ignorando le evidenze di mancato rispetto dei diritti della difesa da parte indiana, sia le prove di innocenza che si sono raccolte.

Due pesi e due misure, con la Tunisia (chiede aiuti) eserciteremo la nostra “Sovranità” facendo valere i “Sacri princìpi” con autorevoli penne e mezzibusti schierati a loro difesa indicando al popolo la “retta via”. Con l’India (che paga) i Sacri princìpi non valevano più, erano derogabili per una mancetta in rupie e qualche passarella di autorevoli e roboanti sproloqui.

Luigi Di Stefano

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