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Non sarà la morte di Benedetto a sanare le ferite della Chiesa

by Lorenzo Roselli
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Con la morte di papa Benedetto XVI, termina a tutti gli effetti un’era per la storia della Chiesa cattolica. Quello di Joseph Alosius Ratzinger è stato infatti un papato relativamente breve (2005-2013), ma propulsivo sotto il versante dell’impegno ecclesiale, votato alla risoluzione delle spaccature in seno al Corpo mistico di Cristo, così come al chiarimento di non poche questioni irrisolte lasciate in eredità dal Concilio Vaticano II (a cui egli stesso prese parte da professore di teologia dogmatica in qualità di perito) e, in particolare, dalla sua applicazione in questi 50 anni. Autentiche ferite che avrebbero necessitato almeno di qualche strato di unguento cicatrizzante dopo l’invece lungo – ma ben poco gravato da simili preoccupazioni – pontificato di Giovanni Paolo II.

Riforma della riforma

Per quanto il principio della carriera accademica di Ratzinger l’abbia visto porsi su un sentiero prossimo al progressismo (nelle vesti di collaboratore della rivista teologica Concilium, accanto a Hans Küng e Edward Schillebeeckx), già da arcivescovo di Monaco e Frisinga la lettura del post-Concilio – come della sua ricezione – cambia marcatamente, portandolo ad assumere quella che sarà la linea anche del suo cardinalato e pontificato.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di febbraio 2023

Un punto fermo dell’ecclesiologia ratzingeriana sarà infatti l’ermeneutica della continuità, una lettura del Concilio Vaticano II che afferma la piena adesione delle costituzioni conciliari alla tradizione cattolica, di cui la riforma apportata l’8 dicembre 1965 (giorno della chiusura dei lavori) sarebbe una riattualizzazione e non una «rivoluzione». Una simile presa di posizione si è inevitabilmente tradotta in una direzione teologica ostinata e contraria rispetto alla messa in atto delle disposizioni del Concilio Vaticano II, specialmente nei punti riguardanti la collegialità e la liturgia, specie quest’ultima attraversata da mari di abusi, archeologismi e creatività che lasciano ben intendere come mai oggi un sacerdote ambrosiano sia giunto a celebrare il «sacrificio non cruento di nostro Signore Gesù Cristo» su un materassino galleggiante nei pressi della costa crotonese.

Benedetto teologo

Inutile dire quanto anche sul piano teologico-morale – dove già l’enciclica di Paolo VI Humanae Vitae (1968) aveva smorzato grandi entusiasmi progressisti – l’inflessibilità ratzingeriana, esercitata soprattutto da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, sotto Giovanni Paolo II abbia incontrato molte rimostranze in un mondo accademico cattolico a cui in passato era stato così vicino.

D’altronde, per il teologo Ratzinger, rileggere in questa chiave un concilio che doveva servire a riconquistare alla Chiesa la modernità occidentale, non solo risultava consistente rispetto ai propositi del «primo Concilio pastorale della Chiesa»(come ebbe modo di definirlo, alla sua conclusione, papa Montini), ma acquisiva ulteriore significato alla luce della nuova evangelizzazione.

Fratture e attriti

In quest’ottica è facile comprendere perché, da cardinale, il futuro papa Benedetto fu enormemente attivo nell’impresa di ricompattare le varie fratture provocate dal Concilio Vaticano II. In particolare dialogando attentamente con monsignor Marcel Lefebvre, recandosi più volte al seminario della Fraternità sacerdotale San Pio X,da questi fondata nella cittadina svizzera di Écône. Un lavoro di mediazione che alla fine non scongiurò le…

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