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Un 2015 di privatizzazioni: ce lo chiede l’Europa

by Filippo Burla
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Renzi semestre

L’Italia deve continuare a fare i compiti a casa. Nel frattempo, l’Europa non è cambiata.

Roma, 29 dic – Il giudizio di marzo sui conti pubblici italiani non sarà «un appuntamento di indulgenza, ma di verità». Così si era espresso, ad inizio dicembre, il commissario europeo per gli affari economici, il francese Pierre Moscovici. Una doccia fredda per chi sperava in margini di manovra più ampi e giunta, peraltro, nei momenti cruciali della redazione della legge di stabilità poi approvata dal Parlamento poche settimane dopo.

Moscovici aveva precisato che le misure adottate dal nostro paese per rispettare i vincoli sul debito pubblico «sono al di sotto degli obiettivi della fase di transizione». Obiettivi di medio termine, per i quali non sono sufficienti politiche di bilancio sui dodici mesi ma servono scelte di più ampio respiro.

Torna così in auge, come già anticipato, il fascicolo delle aziende controllate dallo Stato. Il dossier è in mano ad Andrea Guerra, ex amministratore delegato di Luxottica e adesso consulente economico di Palazzo Chigi. Oggetto dello studio su possibili cessioni di quote azionarie sono le partecipazioni detenute dal ministero dell’Economia in Eni, Enel, Poste Italiane e Ferrovie dello Stato. Per le prime due si punta alla vendita di percentuali minime, ma comunque corpose in termini di controvalore, appena i corsi di borsa verranno a migliorare. Per le altre, invece, i progetti di quotazione sono già sui tavoli tecnici da mesi.

La privatizzazione di ulteriori pacchetti di azioni è già all’ordine del giorno da almeno tre legislature, vale a dire dall’insediamento di Mario Monti. Nel suo mandato l’unica operazione di rilievo fu, tuttavia, il solo scorporo di Snam da Eni con il passaggio della prima sotto l’ombrello di Cassa Depositi e Prestiti. La palla fu poi presa in mano dal governo Letta -ministro Saccomanni- ma la debolezza (nonché la scarsa durata) dell’esecutivo fece rientrare tutte le ipotesi.

Dopo la fallimentare quotazione di Fincantieri i grandi piani sembrano ora riprendere quota, nell’ottica di rispettare gli impegni presi già in primavera con Bruxelles e che prevedono di incassare ogni anno risorse pari almeno allo 0.7% del Pil. Un obiettivo capestro che Renzi non è riuscito a mitigare nonostante le promesse, fatte all’inizio del semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea, in termini di maggiore flessibilità da “spuntare” in sede di Commissione.

Filippo Burla

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