Roma, 11 mar – L’ennesima discussione sulle quote rosa, al solito bocciate poi in sede parlamentare, riapre l’eterno dibattito sulla rappresentanza femminile nella politica e sui presunti correttivi che le istituzioni dovrebbero apportare per sanare eventuali squilibri. Il dibattito, se così si può chiamare, è tuttavia del tutto fuori fuoco. Ecco 10 motivi per essere contrari alle quote rosa.
1. Innanzitutto, e in termini generali, va detto che donne e uomini non sono equidistanti dalla politica. A questa visione “geometrica”, astratta, non organica continua a sfuggire l’esatta natura dei rapporti uomo-donna. Storicamente, la politica è sempre stata una attività umana situata sotto la metà maschile del cielo. Il che, sia detto a scanso di equivoci, non significa che i politici uomini sono sistematicamente meglio delle loro colleghe donne o che non siano esistite personalità femminili forti in politica. Ma da un punto di vista antropologico, la politica è sempre stata un affare prevalentemente maschile. Persino il fantasioso matriarcato primitivo in realtà non è mai esistito come dominio delle donne sugli uomini. Ben venga una forte presenza femminile in politica, quindi, ma ragionare sul fatto che se le donne sono il 50% delle persone devono avere il 50% della rappresentanza significa compiere un sillogismo contronatura.
2. Di più: spesso sono proprio le elettrici a scegliere i candidati uomini a scapito delle donne, per le stesse ragioni etologiche per cui una donna ama un uomo di potere ma è molto più raro il caso opposto. L’idea che solo una donna rappresenti una donna è contraddetta dalle scelte di gran parte delle donne stesse.
3. L’introduzione di apposite quote per garantire la presenza femminile non solo fra i candidati ma addirittura fra gli eletti è ovviamente un escamotage antidemocratico, autoritario, che uccide ogni nozione di merito e prima ancora di giustizia. Che differenza c’è fra l’essere eletti in virtù del proprio genere e esserlo per il colore della propria pelle?
4. Le quote rosa fanno della donna una minoranza (che non è tale) protetta, una categoria da tutelare, incapace di farsi valere da sola. Il risultato di questo neofemminismo è infine la rinnovata sudditanza culturale delle donne, ridotte a pietire delle quote di rappresentanza perché da sole, poverine, non ce la fanno contro i maschi prepotenti.
5. Il presidente della Camera Boldrini ha recentemente criticato la satira sul ministro Boschi come “sessista”. Il che ci fa capire bene come costoro intendano il ruolo delle donne in politica: di nuovo come esseri fragili che devono essere sottratti all’esercizio di quella stessa satira che in altre occasioni viene definita il sale della democrazia. Vogliono più donne nelle istituzioni ma poi vogliono metterle sotto una campana di vetro.
6. Già dal nome, le quote rosa contrabbandano una visione stereotipata e in fondo conservatrice dietro una veste progressista. Anni di battaglie femministe contro l’identificazione uomo/blu e donna/rosa vanificati dall’ultima battaglia femminista che pretende niente meno che le “quote rosa”…
7. Anche il retropensiero per cui una donna porta in politica valori specificatamente femminili va incontro a un bel po’ di contraddizioni. Se uomini e donne sono uguali, se siamo tutti individui, se le donne non vanno discriminate in negativo, allora non vanno discriminate neanche in positivo: che senso ha preferire un individuo donna a un individuo uomo se hanno identici diritti, identiche capacità, identici valori? Se invece le donne incarnano specifici valori femminili, allora forse dobbiamo pensare a ruoli specifici, non identici.
8. Ugualmente, le quote rosa contraddicono la teoria del genere. Dopo decenni di lavaggio del cervello per spiegarci che la divisione tra uomini e donne è frutto una visione ideologica figlia di rapporti di potere, che il genere è in realtà una condizione psico-sociale indipendente dal sesso e che quindi l’umanità non è divisa in due a seconda dell’apparato riproduttivo ma in infinite altre categorie, ecco che ora si torna a mettere maschietti da una parte e femminucce dall’altra. Se si vuole essere coerenti, invece, bisognerebbe stabilire quote per ogni “gender”, con tutte le deliranti conseguenze del caso.
9. Il femminismo dei sostenitori delle quote rosa è falsato poiché nessuno di essi ha mai considerato davvero un progresso il fatto, per esempio, che il Pdl abbia portato in Parlamento una nutrita schiera di donne, che anzi vengono sistematicamente (spesso a ragione, per carità) derise dagli stessi che poi vogliono la “parità di genere”. Nessuna donna di sinistra si è mai sentita rappresentata dalla Santanché e, immaginiamo, nessuna donna progressista francese ritiene di dover votare Marine Le Pen contro Hollande unicamente in relazione al sesso dei due candidati. Il che significa che chiunque, donna o uomo, giudica i politici secondo criteri metasessuali.
10. Davvero si crede che il genere sia una caratteristica degna di apposita rappresentanza parlamentare mentre ipotizzare lo stesso per la funzione sociale, la classe, il lavoro è anacronismo insensato? Se vogliamo una rappresentanza reale e meno astratta, si guardi alle categorie produttive, non al sesso.
Adriano Scianca
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[…] Sul tema delle quote rosa e della presunta assenza delle donne in politica, riniviamo a quanto già scritto su queste pagine. […]
[…] di maggioranza si è resa disponibile per fare parte dell’esecutivo. Ma qui entra in gioco la famigerata quanto dannosa legge sulle quote rosa, che impone il 40% di rappresentanza femminile nell’istituzione. Per questo […]
[…] corretto, la definizione di Italia come Paese beceramente maschilista non può dirsi oggettiva, tra quote rosa imposte per legge – e che spesso prevedono anche assurdi rimescolamenti di giunte e consigli comunali o regionali […]
[…] chiaro, insomma: per orientare la scelta di un percorso universitario più «inclusivo» e in odor di quote rosa si fa pagare di più ai maschi. I quali, checché ne pensano i progressisti, sono […]
[…] Nodo della questione, l’eventualità di introdurre le quote rosa al Festival di Sanremo. «Con grande rispetto, io non sono d’accordo. Non ho mai scelto una canzone in base al sesso dell’artista. Sarebbe un grave errore. Io scelgo la canzone in base alla bellezza della canzone». Così Amadeus ha chiuso la porta in faccia alla proposta del Ceo di Fimi (federazione industria musicale italiana), Enzo Mazza, secondo il quale nel cast dei cantanti di Sanremo andrebbe applicato il fifty-fifty: 50% di donne, 50 di uomini. […]