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Tutti (o quasi) sul carro di Draghi. Per un pugno di ministri

by Eugenio Palazzini
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Draghi, governo

Roma, 7 gen – Nessuno tocchi Draghi, perché Draghi fa comodo a tutti (o quasi). E così anche chi fino a ieri, e non per indicare metaforicamente un passato prossimo qualsiasi, intendiamo proprio il giorno precedente rispetto a quello che stiamo vivendo, accusava Draghi delle peggiori nefandezze, oggi lo esalta come il salvatore della patria. Ad essere precisi non tutti pongono una fiducia totale nell’ex presidente della Bce, ma sono disposti in ogni caso a sostenerlo senza porre troppe condizioni se non quella di far parte fattivamente del suo governo. Tradotto: si accontentano di un pugno di ministri e ruoli chiave.

Draghi, un profeta keynesiano?

E dire che non è ancora stato sciolto il nodo cruciale, perché nessuno sa dire che tipo di esecutivo voglia formare Draghi. Tecnico, politico, un po’ tecnico e un po’ politico o altro? Le formule e le definizioni del governo che verrà partorito tra qualche giorno si sprecano. Assistiamo a una curiosa corsa al neologismo pur di giustificare la bontà intenzionale di chi è stato incaricato a rimettere in sesto una nazione scossa da crisi pandemica ed economica. A tal punto che ormai allo stesso Draghi hanno cucito addosso un nuovo abito: quello del profeta keynesiano. Osservate come si affannano tutti (o quasi), alla ricerca della dichiarazione più aperturista in tal senso. Da un’uscita sul Financial Times a un discorso nebuloso al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, dal “debito buono” distinto da quello “cattivo” passando per ipotetiche uscite private in cui Draghi avrebbe mostrato il suo vero volto umanitario.

C’è pure un novero impressionante di politici che cita Keynes senza averlo mai letto (e forse neppure sentito nominare), pur di giustificare questo generale colpo di fulmine. Ne Le seduzione economiche di Faust un illuminato Geminello Alvi spiegava, con taglio ermetico, perché Keynes non è per forza di cose oro colato anche per chi si contrappone ai guru del liberismo. Oggi però è utile citarlo, sovente a sproposito, per apparire belli e buoni. Che la fase sia del tutto diversa da quella che vivemmo ai tempi del governo Monti è indubbio, talmente tanto che con un colpo di bacchetta magica sono quasi spariti dal vocabolario mediatico “spread” e “austerity”.

Quale Piano Marshall?

Il Recovery plan viene presentato come un nuovo Piano Marshall, senza peraltro riflettere sulle devastazioni che precedono le ricostruzioni e sulle conseguenze di certe ricostruzioni veicolate ad arte. Si ignora deliberatamente il meccanismo che anticipa la messa in moto della macchina e la strada che la macchina è chiamata a percorrere. Pesa di più una frase rasserenante, interpretabile con il metro della soggettività interessata, del reale operato pregresso. E’ come se avessero deciso di sposare una pornostar, confidando ciecamente che nonostante il suo passato non oserà tradirli. Intanto si prova a godere delle sue grazie, domani chissà, in fondo domani è un altro giorno e c’è tempo per genuflettersi di nuovo.

Eugenio Palazzini

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