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Quelle strane coincidenze "sorosiane" sulla morte di Giulio Regeni

by La Redazione
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Roma, 31 gen – Sono passati ormai due anni dall’omicidio di Giulio Regeni, dottorando presso la prestigiosa università di Cambridge; le indagini svianti, approssimative, ostacolate dagli inglesi e unicamente focalizzate per lungo tempo sul Presidente Al Sisi e sul governo egiziano, non hanno portato a nessun risultato concreto e il mandante della terribile vicenda è ancora sconosciuto.
Come siamo soliti fare nelle nostre inchieste, abbiamo seguito i soldi e ci siamo chiesti chi ha veramente tratto vantaggio dall’uccisione di Regeni, analizzando i protagonisti che a vario modo hanno preso parte a questa tragica “commedia dell’arte”.
Giulio Regeni, promettente cervello in fuga friulano ed esperto in questioni del Medio Oriente, dopo aver svolto un anno di ricerche presso la società privata di intelligence Oxford Analytica, nel 2015 stava conseguendo un dottorato all’Università di Cambridge, seguito dalla tutor Maha Abdelrahman e dalla professoressa Rabab El Mahdi dell’Università Americana de Il Cairo, dove era stato trasferito “ufficialmente” per svolgere delle ricerche sui sindacati indipendenti egiziani. Il 25 gennaio 2016 Regeni viene rapito a Il Cairo e nove giorni dopo il suo cadavere viene rinvenuto curiosamente proprio in prossimità di una nota prigione dei servizi segreti egiziani.
Oxford Analytica è una società privata di intelligence che analizza tendenze politiche, geopolitiche e macroeconomiche su scala globale fornendo i risultati ad enti privati, agenzie e più di cinquanta governi; il fondatore è l’americano David Young, uomo chiave del National Security Council durante la presidenza Nixon e crisis manager del caso Watergate. Oltre a diversi esperti di intelligence e controspionaggio, nel board di Oxford Analytica figurano “ex dipendenti” di Open Society Foundations come Liz David-Barrett[1].
La prestigiosa Università di Cambridge si è dimostrata refrattaria fin dalle prime ore a fornire elementi utili alle indagini sull’omicidio di Regeni non aprendo le porte dell’Ateneo agli investigatori e non agevolando la testimonianza di Maha Abdelrahman, la donna che ha mandato il ricercatore italiano “allo sbaraglio” e senza un’opportuna competenza, in un Paese ancora scosso dalla devastante Primavera Araba, dove gli oppositori del Presidente Al Sisi appartenenti ai Fratelli Musulmani non sono noti per essere dei moderni Gandhi. Ricordiamo che precedentemente molti altri studenti di Cambridge erano stati allontanati da Il Cairo dalle autorità egiziane, senza essere peraltro rapiti e sommariamente giustiziati.
Analizzando i bilanci e i sostenitori dell’Università di Cambridge troviamo quello che possiamo definire il filo conduttore della vicenda: tra i partner che erogano fondi per le borse di studio internazionali (The Cambridge Commonwealth, European & International Trust) troviamo la Open Society Foundations di George Soros[2], già sostenitore economico delle Primavere Arabe (inclusa quella egiziana) e della Rivoluzioni Colorate. Secondo alcuni mainstream media, sarebbe stata proprio una borsa di studio di 10 mila sterline ottenuta da Regeni nell’autunno del 2015 dalla britannica Antipode Foundation il motivo della sua uccisione[3].
Passiamo alle professoresse coinvolte nella vicenda: Rabab El Mahdi, docente associato di scienze politiche dell’American University de Il Cairo, è la principale referente di Regeni nella capitale egiziana. La El Mahdi è una ricercatrice e soprattutto un’attivista politica vicina a diverse organizzazioni di sinistra, sostenitrice della Primavera Araba, nonché una delle maggiori oppositrici dell’ex Presidente Hosni Mubārak, dimissionario dopo le proteste di piazza Tahrir nel febbraio 2011 ed incarcerato in un ospedale militare fino al marzo 2017.
Rabab El Mahdi ottiene una borsa di studi dalla Open Society Foundations nel 2010[4] (casualmente la Primavera Araba in Egitto inizia nel mese di dicembre dello stesso anno) per “aver studiato le prospettive di democratizzazione e cambiamento sociale nel mondo arabo, e per aver esaminato il ruolo di gruppi tanto diversi tra cui i partiti politici islamici, i blogger, le organizzazioni per i diritti delle donne, i gruppi giovanili e il movimento sindacale nella costruzione dello slancio per il cambiamento”.

Durante una conferenza organizzata dalla Open Society nel dicembre 2014 intitolata “Propaganda Revisited: A Look at Current Practice in Russia and Egypt[5], la El Mahdi spiega “come l’Egitto sia passato dalla rivoluzione alla controrivoluzione, come il vecchio regime sia stato in grado di invertire le conquiste della rivolta del 2011 e come lo stato e il business, attraverso gli sforzi orchestrati, usino i media, l’establishment legale e l’apparato di sicurezza per creare una narrazione dominante sfalsata sulla rivolta per modellare la percezione pubblica”. Ovviamente Rabab El Mahdi si riferisce alla presidenza di Al Sisi, criticato attraverso la solita retorica usata dagli “esportatori di democrazia”, la sorosiana Amnesty International in primis, dei diritti umani violati.
A proposito di Amnesty International, l’organizzazione, principale braccio “umanitario” della Open Society Foundations, ha dato vita ad una campagna globale e massiccia in cui chiede “Verità per Giulio Regeni”. Nell’apposita sezione del sito internet si legge: “Qualsiasi esito distante da una verità accertata e riconosciuta in modo indipendente, da raggiungere anche col prezioso contributo delle donne e degli uomini che in Egitto provano ancora a occuparsi di diritti umani, nonostante la forte repressione cui sono sottoposti, deve essere respinto”[6]. Sembra quasi che Amnesty dia per scontato il coinvolgimento del Governo di Al Sisi nell’omicidio di Regeni, senza mai chiamare in causa chi irresponsabilmente ha mandato il ricercatore friulano in un Paese ancora profondamente problematico.

Anche l’American University de Il Cairo, dove Rabab El Mahdi è docente associato di scienze politiche, è legata alla Open Society Foundations grazie ai finanziamenti[7] che riceve dalla fondazione di Soros per l’avvio di progetti condivisi nell’ambito “Global Affairs and Public Policy” fondato curiosamente nel 2010, proprio l’anno che segna l’inizio della Primavera Araba egiziana.

Maha Abdelrahman, tutor a Cambridge di Regeni, è stata finalmente interrogata dalle autorità italiane nel gennaio scorso, dopo due anni di silenzi e una certa omertà.
Anche Abdelrahman, prima di approdare nel prestigioso ateneo inglese, è stata docente associato di sociologia all’American University de Il Cairo. La stessa vanta una serie notevole  di “ricerche sul campo” nell’ambito delle scienze politiche e della sociologia, oltre a numerose consulenze con organizzazioni internazionali tra le quali Oxfam, Unicef e la danese DANIDA: le prime due finanziate dalla Open Society Foundations e la terza invece ha sviluppato progetti cofinanziati con la fondazione di Soros.

Maha Abdelrahman è anche una collaboratrice attiva di Open Democracy, piattaforma globale che “attraverso la segnalazione e l’analisi di questioni sociali e politiche, cerca di educare i cittadini a sfidare il potere e incoraggiare il dibattito democratico in tutto il mondo” ovvero lo strumento “esportatore di democrazia” usato da Open Society Foundations per favorire le rivoluzioni colorate, anche in Egitto.
Nel 2013 la Abdelrahman scrive un articolo su Open Democracy[8] in cui analizza la situazione in Egitto, proprio pochi mesi prima del colpo di stato che ha portato alla presidenza Al Sisi: “L’incapacità di tradurre lo slancio dei giorni inebrianti delle proteste del gennaio 2011 in Egitto in una forza rivoluzionaria efficace è strettamente correlata alle forme organizzative adottate dai movimenti di opposizione” afferma l’autrice e analizza l’importanza dei sindacati nella democratizzazione del Paese, in modo particolare dell’Egyptian Federation of Independent Trade Unions (EFITU) nato dopo la Primavera Araba e chiaramente vicino alla Fratellanza Musulmana. Ora sappiamo che l’EFITU è una delle principali organizzazioni di opposizione al Presidente Al Sisi, e la principale fonte con cui era pericolosamente in contatto Giulio Regeni in cerca di informazioni da consegnare alla sua tutor per il dottorato di ricerca[9].
Con Open Democracy e Carnegie Endowment for International Peace (think tank americano finanziato da Open Society), collabora attivamente anche Giuseppe Acconcia, sedicente referente italiano di Regeni e firma de Il Manifesto, che non ha mai lesinato illazioni sul ruolo di Al Sisi nell’omicidio del ricercatore friulano.

La famiglia Regeni, già scossa dal lutto, ha dovuto smentire la collaborazione tra il figlio e l’Acconcia, in seguito alla pubblicazione di un articolo “postumo” su Il Manifesto firmato da Giulio e le dichiarazioni del giornalista rese a Radio Popolare.

Due fattori accomunano Giuseppe Acconcia, Rabab El Mahdi e Maha Abdelrahman: tutti e tre sono collaboratori della Open Society Foundations (autori di Open Democracy) e hanno adottato la medesima linea nelle loro dichiarazioni in merito ai mandanti dell’omicidio di Regeni.
Oltre ad una continua reticenza nei confronti degli investigatori italiani delle due donne, le loro illazioni si sono da subito concentrate sul Governo di Al Sisi, evitando accuratamente di ampliare l’area di inchiesta visti i tanti attori in scena. Forse il sostegno malcelato dei tre alle forze di opposizione egiziane, sindacati in primis, hanno offuscato un loro giudizio obiettivo o hanno voluto deliberatamente sviare le indagini?

Singolari anche le dichiarazioni rese dalla Rabab El Mahdi in un’intervista del novembre scorso al Corriere della Sera[10]: “Sono scioccata e arrabbiata dopo le accuse e i sospetti pubblicati sui media italiani” negando qualsiasi responsabilità sue, della Abdelrahman e di Cambridge. La professoressa continua dichiarando che “Non solo questi articoli sono ingannevoli e rivelano una seria mancanza di comprensione su come funzioni la ricerca accademica, ma servono anche a spostare l’attenzione dalla vera questione: chi ha torturato e ucciso Giulio” dettando quasi il percorso che gli inquirenti dovrebbero seguire. Nell’intervista, la El Mahdi nega la pericolosità della “ricerca partecipa” di Regeni: “Dal momento che stava conducendo ricerche su un fenomeno socio-politico contemporaneo, questo è l’unico metodo di ricerca che si possa usare. Non poteva fare ricerche d’archivio, né un esperimento in laboratorio. Doveva condurre interviste, osservare gli incontri e i sindacalisti per poter rispondere ai quesiti della sua ricerca”. Quindi, secondo la professoressa, è lecito mandare un giovane ricercatore a fare domande scomode a soggetti vicini alla Fratellanza Musulmana in un contesto geopolitico profondamente instabile, senza una copertura idonea e una formazione ad hoc? L’attivismo della stessa contro il Governo di Al Sisi non è esso stesso una fonte di rischio?
Ma veniamo alla svolta nelle indagini delle autorità italiane: il focus si è spostato dal possibile coinvolgimento dei servizi segreti egiziani alle ricerche non chiare affidate a Giulio Regeni dalle sue reticenti tutor, che sembrano più materia di intelligence che di ricerca accademica. Cambio di direzione che, come esposto, hanno allarmato Maha Abdelrahman e Rabab El Mahdi.
Per capire chi sia il mandante dell’omicidio di Regeni bisogna capire, seguendo la scia dei soldi, chi ha tratto vantaggio dalla vicenda: all’indomani del ritrovamento del corpo del ricercatore friulano, il nostro Governo ha immediatamente e inspiegabilmente ritirato l’ambasciatore italiano de Il Cairo, interrompendo quindi ogni relazione diplomatica con l’Egitto, senza alcuna prova verificata di un coinvolgimento del Governo di Al Sisi. È noto che nello stesso periodo, l’allora ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, stava per concludere un affare miliardario a proposito di un giacimento di gas scoperto da ENI al largo delle coste egiziane[11], iniziativa non certo benedetta dal governo britannico e dalla British Petroleum, che, dopo qualche mese chiuderà, con tempismo sospetto, un accordo del valore di 1 miliardo di dollari con il governo di Al Sisi per lo sviluppo di un giacimento di gas e per la concessione offshore nel Delta orientale del Nilo.

Seguendo la logica dei molto interessi economici allora in campo, sembra coerente ipotizzare che l’omicidio di Giulio Regeni, condizionato dagli “ideali” rivoluzionari del contesto in cui era inserito, sia stato strumentale per chi aveva interessi in Egitto diversi da quelli del nostro Paese.
Non sembrano coincidenze infatti che il corpo orrendamente straziato del ricercatore friulano sia stato curiosamente scoperto in prossimità di una nota prigione dei servizi segreti egiziani, che nel luglio del 2015 un’autobomba sia esplosa proprio davanti al consolato italiano a Il Cairo, e che nazioni come la Gran Bretagna non abbiamo mai visto di buon occhio il governo egiziano, reo di aver “annullato” gli effetti destabilizzanti della Primavera Araba (da loro sostenuta apertamente come dalle tutor di Giulio) e conseguentemente gli ottimi rapporti commerciali stretti con l’Italia.
L’ambasciatore egiziano in Italia, Amr Helmy, pochi giorni dopo il ritrovamento del cadavere dichiarò: “Regeni non è mai stato sotto la custodia della nostra polizia. E noi non siamo cosi naif da uccidere un giovane italiano e gettare il suo corpo il giorno della visita del Ministro Guidi al Cairo[12]. Sarebbe stato più semplice rimpatriarlo, come già successo in precedenza con altri ricercatori stranieri. Seguendo l’odore del denaro e di conseguenza chi ha tratto beneficio dalla morte del nostro povero connazionale, non è difficile ipotizzare chi sia il vero mandante nascosto in piena luce.
Francesca Totolo
[1] Oxford Analytica, Region Heads: http://www.oxan.com/about/people/region-heads/
 
 
[2] The Cambridge Commonwealth, European & International Trust, our partners: https://www.cambridgetrust.org/partners/open-society-foundation
[3] Regeni e il dossier sui sindacati-La pista delle 10 mila sterline: http://www.corriere.it/cronache/16_marzo_10/regeni-dossier-sindacati-pista-10-mila-sterline-5c0f3770-e68d-11e5-877d-6f0788106330.shtml
[4] Open Society Fellowship: https://www.opensocietyfoundations.org/about/programs/open-society-fellowship/grantees/rabab-el-mahdi
[5] Propaganda Revisited: A Look at Current Practice in Russia and Egypt: https://www.opensocietyfoundations.org/events/propaganda-revisited-look-current-practice-russia-and-egypt
[6] Verità per Giulio Regeni: https://www.amnesty.it/campagne/verita-giulio-regeni/
[7] The American University in Cairo: http://schools.aucegypt.edu/GAPP/execed/Pages/Partners.aspx
[8] The Egyptian opposition: from protestors to revolutionaries?: https://www.opendemocracy.net/5050/maha-abdelrahman/egyptian-opposition-from-protestors-to-revolutionaries
[9] In Egypt, second life for independent trade unions: https://global.ilmanifesto.it/in-egypt-second-life-for-independent-trade-unions/
[10] Giulio Regeni, la tutor al Cairo: «Non l’abbiamo messo a rischio Cercate i veri colpevoli»: http://www.corriere.it/esteri/17_novembre_03/regeni-tutor-cairo-non-abbiamo-messo-rischio-cercate-veri-colpevoli-31c4a4a4-c0e9-11e7-8b75-0df914d10fe2.shtml
[11] ENI-Zohr: in produzione a tempo record: https://www.eni.com/it_IT/attivita/upstream/modello-esplorativo/zohr-egitto.page#
[12] Regeni:amb.Egitto, non siamo così’naif’ da uccidere italiano: http://www6.ansa.it/ansamed/it/notizie/stati/egitto/2016/02/10/regeniamb.egitto-non-siamo-cosinaif-da-uccidere-italiano_4954b0ac-2aa2-4b64-b537-a6b86752d058.html
 
 

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7 comments

Michele 31 Gennaio 2018 - 11:39

E come sempre roviniamo i nostri interessi, vedasi affare Finmeccanica e le commesse dall’India saltate per indagini giudiziare risultate prime di fondamento.

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Giuseppe 31 Gennaio 2018 - 2:09

E quando c’era da accusare Draghi per il fatto di MPS tale Matterella scese in campo direttamente dichiarando che non si poteva toccare lui sennò si metteva a rischio la ” credibilità internazionale del nostro paese”. Quando i criminali si devono coprire a vicenda lo fanno, quando devono coprire noi ci abbandonano.

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blackwater 31 Gennaio 2018 - 1:01

pregevolissimo esempio di come fare giornalismo d’inchiesta con tanto di fonti allegate; era da tempo (assieme al vostro recentissimo articolo sulle “ONG” tedesche) che non leggevo pezzi così dettagliate ma scorrevoli nel testo; complimenti alla Autrice Francesca Totolo.
ps notare il virgolettato sul termine “ONG”…

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Tony 31 Gennaio 2018 - 3:03

….a chi faceva comodo….non dimentichiamo la Francia…subito dopo la morte del ragazzo, il loro ”premier” ha fatto visita in Egitto per concudere affari con il governo egiziano..

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PAZZI 31 Gennaio 2018 - 4:24

insomma se lo sono giocato, come una carta durante una partita di bridge….
la vita di un ragazzo, utilizzata per tutelare i propri interessi economici e poi dare la colpa ad un Governo (quello Egiziano) ostile ai propri interessi.
Queste società filantropiche nascondono interessi ben piu’ grandi di quanto non sembri, infatti alle spalle ci sono i grandi fiinanzieri internazionali

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cenzino 31 Gennaio 2018 - 8:44

Ottimo articolo, grazie.

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La stessa mafia che dirige l’invasione africana | DeBernardi's Blog 1 Febbraio 2018 - 4:36

[…] 200 6 […]

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