Lancio di agenzia Reuters ore 11: “BlackRock detiene il 5% circa di Intesa Sanpaolo a titolo di gestione del risparmio. È quanto si legge sul sito web di Intesa Sanpaolo.Con la quota del 5,004% il fondo Usa risulta essere il secondo azionista della banca dopo la Compagnia Sanpaolo (9,713%), con una partecipazione appena superiore a quella della Fondazione Cariplo (4,946%). In precedenza BlackRock aveva una quota inferiore al 2%”. Poi non dimentichiamoci del fatto che il suddetto fondo americano è presente in Telecom Italia (5,1%), oltre che in altre aziende strategiche del Bel Paese. Qualcuno potrà dire: è la globalizzazione bellezza. Ma, dopo aver messo mano su Telecom pochi mesi fa, ora puntano in alto. E già, a titolo di cronaca, Intesa Sanpaolo con il trenta per cento di azioni è il primo azionista di Banca d’Italia S.p.A. Tutto ciò può passare inosservato? Tre sono i nodi da sciogliere prima di rispondere al quesito: il modus operandi di un fondo d‘investimento come BlackRock, l’influenza sull’economia italiana di Intesa Sanpaolo, e infine l’azionariato di Banca d’Italia. Andiamo con ordine.
La BlackRock è la seconda società finanziaria statunitense specializzata nei settori di private equity. Per capire quanto il private equity sia influente nell’economia globale basta qualche dato. I primi 20 fondi di private equity del mondo controllano aziende che impiegano, sommandole, più di 4 milioni di lavoratori. I primi 5 fondi, controllano aziende che impiegano oltre 2 milioni di persone. Ma, per essere sbrigativi, come fanno tutti questi soldi? La caratteristica fondamentale di questi operatori è che, di solito, acquisiscono le partecipazioni nelle aziende con l’obiettivo di rivenderle entro tre – cinque anni. Ma chi li finanzia? In genere gli investitori istituzionali, che versano cifre variabili tra 10 e 40 milioni di euro ai fondi di private equity internazionali. Ma gli investitori istituzionali, a loro volta, non fanno che girare ai fondi chiusi i quattrini che hanno in gestione. Per esempio, i fondi pensione e gli investitori istituzionali all’estero, in media, investono fino al 5 per cento del loro patrimonio in private equity. Per farla breve, comprano con soldi non loro e incassano il bottino dopo qualche annetto.
Torniamo ora a casa nostra. Per capire il peso di Intesa basta intanto ricordarsi che è un investitore molto attivo sul mercato. Le nuove Ferrovie di Montezemolo con il 20%, Alitalia, RCS (i padroni del Corrierone nazionale), Banca Generali. Ma le banche perché non tornano a fare il loro mestiere, cioè trattenere i depositi e concedere prestiti? Chi controlla questi signori? Elementare Watson: la Banca d’Italia, cioè loro stessi. Quanto meno quelli più forti.
Le quote della nostra Banca Centrale sono divise nel modo seguente: Intesa Sanpaolo 30%, Unicredit 22%, Assicurazioni Generali e Cassa di Risparmio in Bologna appaiate al 6%, l’Inps 5%, BNL quasi 3%, MPS 2.5%. Questo conflitto d’interessi non lo vede nessuno. Intanto, giace moritura la Legge che dal 2005 obbliga questi azionisti a restituire a Via Nazionale le loro quote. E allora non lamentiamoci. Perché se le Banca domina chi le ha consegnato le chiavi del Caveau è la politica. E nella cassaforte oggi ci mettono le mani pure gli americani. Quindi, anche chi non è correntista di Banca Intesa da venerdì può fa’ l’americano anche se è nato in Italy.
Salvatore Recupero
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[…] patrimoniale per masse, con il 4% del mercato. Il fondo avvoltoio detiene un pacchetto del 5% di Intesa Sanpaolo il 4,8% di Telecom Italia e il 4,9% di Unicredit. Nel proprio menù di partecipazioni, gli […]