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Poveri, istruzioni per l’uso. Breve guida alle periferie per giornalisti di sinistra

by Adriano Scianca
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Roma, 1 dic – È sempre duro risvegliarsi da un sogno e fare i conti con la realtà. Il rapporto della sinistra con le periferie ha un po’ le sembianze di questo brusco risveglio in cui, una volta aperti gli occhi, nulla è come lo avevi immaginato. La sinistra, in particolare, si approccia ai poveri e ai quartieri popolari sulla scorta di due illusioni.

La prima è quella marxista, certo oggi non egemone, ma che comunque è inscritta nel dna della sinistra e ha lasciato latenze comportamentali. Per Marx, la classe operaia è un blocco monolitico, con suoi specifici interessi e una sua specifica coscienza di classe. Certo, quest’ultima va pur sempre “costruita”, non è “data”, ma nella mente del marxista l’operaio resta questa figura ideologizzata e inquadrata, una sorta di soldato politico con una sua lucida visione del proprio ruolo storico. Il popolo che non rientra in questo schema, anche se miserabile, viene nel marxismo trattato con malcelato disprezzo. Scrive Marx: “Il sottoproletariato, questa putrefazione passiva degli infimi strati della società, che in seguito a una rivoluzione proletaria viene scagliato qua e là nel movimento, sarà più disposto, date tutte le sue condizioni di vita, a lasciarsi comprare per mene reazionarie”. I “poveracci” che oggi votano “populista” rientrano esattamente in questo schema e ricevono in cambio la stessa acrimonia.

Ma, come dicevamo, la chiave di lettura marxista non è certamente quella oggi egemone, a sinistra. Ce n’è un’altra, molto più spoliticizzata e superficiale, che va per la maggiore: è quel culto delle periferie che esce dalla cinematografia radical chic, dove gli strati popolari passano attraverso un filtro che ne annienta tutti gli aspetti spigolosi e disturbanti. Certo, nella pellicola in cui Valerio Mastandrea fa il coatto di borgata in difficoltà economica ci sarà sempre un momento iniziale in cui egli mostri dei lati negativi, magari una battuta razzista, perché bisogna pur prendersela con il diverso quando non si arriva alla fine del mese. Grazie all’intervento dell’assistente sociale interpretata da Alba Rohrwacher, tuttavia, anche il protagonista riuscirà a trovare redenzione, mostrando tutte le sue doti di umanità, dignità, solidarietà. Eccola, la visione della periferia oggi dominante: un attore con la faccia da cane bastonato, che parla in un finto romanesco che fa molto “popolo”, e che snocciola valori come fossero chicchi di melograno. In entrambi i casi, nella visione marxista come in quella cinematografica, si postula una monoliticità etica, politica, sociale.

Ecco perché non capiscono le periferie. Perché i quartieri popolari sono innanzitutto contraddizione. C’è sofferenza, povertà, dolore, ma c’è anche violenza, illegalità, menzogna, arte di arrangiarsi e anche individualismo feroce, competizione spietata fra miserabili, mors tua vita mea. Ecco perché andare in una periferia e stupirsi che le case popolari non sono occupate dai legittimi assegnatari o che gli inquilini che vi risiedono vi sono arrivati dopo espedienti, truffe e giri poco chiari – come è stato fatto ieri sera a Piazza Pulita in relazione alla situazione di Nuova Ostia – è l’equivalente postmoderno del “che mangino brioches”. Chiunque abbia avuto a che fare con l’emergenza abitativa o con le famiglie in difficoltà di qualche quartiere difficile sa di come sia complicato relazionarsi con certa gente, di come talvolta anche chi è più lontano dal liberismo e dal darwinismo sociale sia tentato di dire che, va bene tutto, ma alcuni certe disgrazie sembra che facciano di tutto per meritarsele. È duro, per chi ha un’immagine idealizzata dei rapporti sociali, calarsi in questi contesti. Eppure va fatto. Eppure la politica ci deve stare e ci deve saper stare, anche se tutto questo è lontano dal legalitarismo cialtrone. Proprio lì, in mezzo alla contraddizione. Per risolverla, naturalmente, per portare una direzione là dove c’è smarrimento. Ma per risolvere la contraddizione bisogna starci in mezzo, sporcarsi le mani, stare fra gli impresentabili, fra la “putrefazione” di cui parlava Marx. Roba troppo complicata per chi ha come massimo di impegno sociale urlare in faccia alla filippina che “la mafia è una montagna di merda”, ricevendone in cambio un dimesso e servile cenno di assenso.

Adriano Scianca

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3 comments

Carlo 1 Dicembre 2017 - 9:18

Che altro dire? Da applauso.

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Tony 1 Dicembre 2017 - 5:23

..la ”teoria” di Marx spiega il perché le zecche rosse/sindacati non si sono mai occupati dei disoccupati; questi essendo ex lavoratori, no fanno più della ,” classe operaia” a diventano parte del”infimo putrefatto sottoproletariato”…

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Dino Rossi 1 Dicembre 2017 - 7:27

La faccio di questa feccia pennivendola dice tutto. E poi i violenti siamo noi. Ottimo Scianca la seguo con interesse anche sulla Verità..

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