Roma, 7 dic – Sei italiani su dieci non vogliono immigrati extracomunitari, il 45% non ne vuole proprio. E’ la fotografia scattata dal Censis nel suo Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese.
Il 63% degli italiani vede in modo negativo l’immigrazione da Paesi non comunitari (contro una media Ue del 52%) e il 45% anche da quelli comunitari (rispetto al 29% nel resto dell’Ue).
A preoccuparsi di più sono le categorie deboli: il 71% di chi ha più di 55 anni e il 78% dei disoccupati teme l’immigrazione. Mentre il dato scende al 23% tra gli imprenditori.
Il 58% degli italiani pensa che gli immigrati sottraggano posti di lavoro ai nostri connazionali, il 63% che rappresentano un peso per il nostro sistema di welfare. Per il 75% degli italiani l’immigrazione aumenta il rischio di criminalità.
Il quadro peggiorerà, ne è convinta la maggioranza del Paese. Il 59,3% degli italiani ritiene infatti che tra dieci anni nel nostro Paese non ci sarà un buon livello di integrazione tra etnie e culture diverse.
Il Censis dà questa curiosa lettura dei dati: “Le radici sociali di un sovranismo psichico: dopo il rancore, la cattiveria. La delusione per lo sfiorire della ripresa e per l’atteso cambiamento miracoloso ha incattivito gli italiani”.
Insomma, il consenso per il sovranismo della Lega, per intenderci, nascerebbe da un presunto e pregresso sovranismo psichico.
Però poi il rapporto spiega che in questo sistema sociale, “attraversato da tensione, paura e rancore” si “guarda al sovrano autoritario“, mentre “il popolo si ricostruisce nell’idea di una nazione sovrana supponendo, con un’interpretazione arbitraria ed emozionale, che le cause dell’ingiustizia e della diseguaglianza sono tutte contenute nella non-sovranità nazionale“.
Ecco, se togliamo la frase “con un’interpretazione arbitraria ed emozionale”, arbitrariamente – questa sì – inserita dal Censis come lettura (errata) della realtà, abbiamo la cartina da tornasole dell’Italia di oggi, in parte confermata dal consenso per il governo gialloverde.
Vediamo ora nel dettaglio qualche numero di rilievo.
Nel 2017 il 12,4% degli occupati nella classe d’età 20-29 anni era a rischio povertà. Si tratta di circa 330 mila persone, in crescita rispetto al 2016 di circa diecimila unità.
L’incidenza del rischio risulta più accentuata tra gli occupati che svolgono un lavoro in forma autonoma o indipendente (18,1%), rispetto a chi lavora alle dipendenze (11,2%).
Il rischio di povertà tra le persone con meno di 14 anni aumenta di quasi cinque punti percentuali, passando dal 20,4% al 25,1%. Fra i 15 e i 24 anni si osserva una incidenza ancora maggiore, con un incremento in termini percentuali di quasi sei punti: un giovane su quattro è a rischio povertà, condizione questa che si riduce fra gli individui nella classe d’età 25-34 anni (poco sopra il 20%) e soprattutto tra gli anziani con almeno 65 anni (17,1%).
Ancora, sono 163 mila nella classe d’età 25-34 anni i sottoccupati (il 4% degli occupati), pari al 23,5% dei sottoccupati complessivi. E gli occupati in part time involontario (un eufemismo per dire che hanno chiesto il full time ma non l’hanno avuto) sono 16 su 100 giovani occupati di 25-34 anni, ovvero 675 mila persone (il 24,3% di tutti gli occupati con part time involontario).
Adolfo Spezzaferro
Censis: sei italiani su dieci non vogliono l'immigrazione
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