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Clandestini, l’Ue insiste sulla “linea comune”: il problema è che è anche la solita (e fallimentare)

by Alberto Celletti
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Roma, 4 lug – In Ue si insiste su una “linea comune” che fa acqua da tutte le parti. Si parla, ovviamente, di clandestini, ancora peggio di immigrazione clandestina, sulla quale mon si riesce a trovare altra tendenza se non di ispirazione ineluttabilmente immigrazionista. Così dimostra la conferenza stampa tenuta dal presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen insieme al premier spagnolo Pedro Sanchez.

Ue, la “linea comune” che non funziona (ma su cui si insiste)

Il semestre di presidenza spagnola si inaugura così. Con la Von der Leyen che fa i classici “onori di casa” al capo di governo di turno. E che inventa di sana pianta risultati mai raggiunti: “Abbiamo fatto progressi positivi sulla proposta legislativa sul nuovo Patto Ue sulla migrazione e l’asilo e ora dobbiamo fare l’ultimo sforzo per adottarlo entro la fine di questo mandato, ma  dobbiamo continuare il lavoro anche a livello operativo sviluppando partenariati per investire nella stabilità economica dei Paesi chiave di origine e transito dei migranti”. La seconda parte del pensiero, ovviamente, ha una logica. Peccato che siano soltanto parole, alla luce di politiche improntate soltanto all’accoglienza e mai al freno delle partenze. Dunque, almeno fino a quando non si vedrà concretezza, ci permettiamo di continuare a considerarla per quello che è: retorica.

Avanti su un’idea fallimentare

L’Ue “vuole andare avanti insieme sulla proposta legislativa (del patto migrazione e asilo) per finalizzarla. D’altra parte, c’è il percorso operativo in cui siamo molto pratici, ad esempio, nell’avere progetti pilota sul confine bulgaro e rumeno, sulla gestione delle frontiere e sulle procedure di frontiera per scoprire che è possibile disporre di procedure rapide ed eque al confine”. Ma la verità è molto più cruda, per l’Ue e la sua “linea comune”. Avviare un discorso vagamente plausibile sulla questione della clandestinità significa comprendere il motivo dei “no” secchi di Ungheria e Polonia” al piano di “solidarietà obbligatoria” su cui si è insistito molto negli ultimi mesi. E virare, banalmente, su qualcosa di più concreto. Si narra che nei quartieri alti di Bruxelles ora prevalga la “comprensione” sulle scelte di Budapest. Chissà se sarà vero.

Alberto Celletti

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