Roma, 4 ott – Durante il dibattito che si è svolto ieri sera nella sede di CasaPound Italia a Roma tra il vice presidente Simone Di Stefano e il giornalista Corrado Formigli si è toccato a più riprese l’argomento relativo alla Germania, alla sua economia, alla sua società. Vale la pena approfondire alcuni di questi aspetti cercando di sfatare una volta per tutte il mito della “Germania locomotiva d’Europa”. Resta ben inteso che non sarà nostro compito mettere in dubbio le indiscusse capacità di una nazione che è stata in grado, per l’ennesima volta, di ergersi tra le grandi potenze industriali del pianeta, ma, viceversa, cercheremo di smascherare tutti quei falsi miti che contribuiscono a rendere grande la Germania di fronte all’Italia.
Formigli, nella serata di ieri, ha affermato che l’economia tedesca sia migliore della nostra perchè i tedeschi spendono di più in ricerca, sanno far le auto e hanno un’industria altamente tecnologica e moderna. Per il noto giornalista di Piazza Pulita, la società tedesca, pur nella sua complessità, si dimostra più moderna rispetto alla nostra, e questo contribuisce ulteriormente a rendere dinamica e avanzata l’economia teutonica.
INDAGINE SULL’EURO
Prima dell’avvento dell’Euro, l’Italia era alla pari della Germania. Nel 2002 la produzione industriale italiana era simile a quella tedesca. Questo ci porta ovviamente a pensare che i danni subiti, in prima istanza, dalla nostra economia, siano stati dettati dall’avvento della moneta unica. Euro che, come ha giustamente fatto notare Simone Di Stefano, può essere paragonato ad un abito su misura fatto calzare alla perfezione sulle esigenze della Germania di allora. Nessuno ha ormai più da obiettare sui danni perpetrati al nostro sistema economico da un folle cambio Euro/Lira voluto in primis dall’allora Presidente del consiglio Romano Prodi e dai sui proconsoli Amato e Ciampi. Alla luce di questo si comprende come si sia data un spinta propulsiva all’economia tedesca mentre l’Italia arrancava tra costi di produzione quasi raddoppiati e scarsa competitività nell’export.
IL CAPPIO DELL’AUSTERITA’
Il successo tedesco, nel contesto dell’eurozona, va analizzato alla luce della debacle dei maggiori competitor (Italia inclusa) ai quali sono state legate le mani attraverso politiche di austerità nei conti pubblici. Spending review, Patto di stabilità, l’aumento della pressione fiscale, la stretta sulle pensioni, unita alla mannaia delle agenzie di rating, hanno oppresso e strozzato la crescita economica nella nostra nazione. La Germania ha di fatto imposto questi criteri di austerity avvantaggiandosene.
COME TI FINANZIO LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE
Il sistema creditizio italiano, con l’ingresso del terzo millennio, ha subito innumerevoli stravolgimenti, non senza conseguenze. L’Unione Europea ha dettato delle regole severe affinché si potesse arrivare ad un concetto di unione bancaria. Basilea III è l’ultimo di quell’insieme di riforme sviluppate per rafforzare la regolamentazione, supervisione e gestione dei rischi nel settore bancario e finanziario. La Germania, furbescamente, si è da sempre adoperata per proteggere le landesbank regionali e le sparkassen municipali eludendole dal controllo della Bce, nonostante queste risultino pesantemente indebitate e malconce a seguito di pessime gestioni finanziarie. Spesso al centro di polemiche legate a corruzione e finanziamento illecito ai partiti, le sparkassen e le landesbank sono a tutt’ora una delle ragioni della supremazia economica tedesca in ambito europeo, grazie al loro sistema di prestiti capillare che permette investimenti in ricerca ma soprattutto finanziamenti alle piccole e medie imprese con uno dei tassi di leverage più alti d’Europa.
IN GERMANIA SI FANNO PIU’ INVESTIMENTI?
Sempre Formigli, nell’incontro di ieri sera, ha posto l’accento sugli investimenti che le imprese tedesche hanno sempre fatto in più rispetto alle aziende italiane. Questo è uno dei falsi miti più duri a morire. Basta aprire il sito dell’Eurostat per sincerarsi che la Germania dal 2002 al 2012 ha avuto il tasso di investimenti più basso d’Europa. L’Italia si colloca invece poco sopra la media europea.
COSTO DEL LAVORO E COMPETITIVITA’
Un altro degli argomenti che spesso mettono in concorrenza l’Italia con la Germania è legato al mondo del lavoro: i tedeschi hanno un tasso di disoccupazione tra i più bassi d’Europa e un costo del lavoro vantaggioso rispetto alla nostra nazione. Niente di più falso e andremo a vedere perchè.
Se si analizzano i grafici dei costi unitari nominali del lavoro si evidenzia un vantaggio della Germania di ben 25 punti percentuali accumulati tra il 1999 e il 2011. Da qui l’osservatore superficiale trae le sue conclusioni affermando che il costo del lavoro in Italia sia abnorme rispetto al modello tedesco. Ma non è così. Secondo i dati del Bureau of Labor Statistics americano, assai attendibile, nel 2011 il costo orario del lavoro nella manifattura era pari in Italia a 36,17 dollari, contro i 47,38 della Germania (31% in più). Negli anni successivi, pur riducendosi la forbice, il costo unitario del lavoro tedesco resta pur sempre più caro rispetto a quello italiano.
Se poi andiamo ad analizzare altri dati, come quelli relativi alla competitività, notiamo come nel pieno della crisi, dall’inizio del 2008 al primo trimestre 2013, il deterioramento del Pil italiano rispetto a quello tedesco sia stato sì di quasi 10 punti, ma la perdita relativa in termini di produttività si è limitata ad appena 2,5 punti, in massima parte dopo la metà del 2011.
COME TI FALSO IL DATO SULLA DISOCCUPAZIONE
La Germania vanta altresì uno dei tassi di disoccupazione più bassi d’Europa. Questo è dovuto il larga misura all’introduzione dei cosiddetti “mini jobs” che dal 2003 hanno permesso di truccare i dati relativi all’occupazione lavorativa. I mini jobs sono lavori dove si guadagna meno di 450 euro al mese. Per il lavoratore è un vantaggio perchè esentasse, per il datore di lavoro pure perchè paga meno contributi. Oggi in Germania un lavoratore dipendente su 5 è un “minijobber“. Alla fine del 2016 erano circa 7,63 milioni i tedeschi che avevano un rapporto di lavoro minore, vale a dire il 23% del totale dei dipendenti con assicurazione sociale. Il mini job per molti rappresenta un secondo lavoro (circa un terzo), ma per 4,8 milioni di tedeschi rappresenta l’unica fonte di entrata. Se questo lo si chiama progresso socio economico, l’inizio della barbarie è dietro l’angolo.
Giuseppe Maneggio