La crisi non è solo del comparto e nemmeno esclusivamente dell’eccessiva capacità di raffinazione, che ha portato già ad altre chiusure eccellenti come l’impianto Tamoil di Cremona. A rischio sono però anche le altre realtà Eni disseminate per l’Italia fra Taranto, Priolo e Livorno, mentre Marghera e Porto Torres sono già sotto processo di riconversione. Il settore chimico è sotto scacco da anni, nonostante l’Italia avesse raggiunto primati a livello mondiale. Con riferimento alla sola trasformazione del greggio, la sovracapacità produttiva è stimata in almeno 40 milioni di tonnellate.
In questo specifico caso, la crisi è di un’intera comunità che attorno al petrolchimico si è sviluppata e dal petrolchimico trae la principale fonte di sostentamento. Non devono quindi stupire i numeri della manifestazione, che non ha coinvolto solo i dipendenti: erano ventimila in piazza oggi, a chiedere a gran voce che si possa dare un futuro all’impianto.
Dopo la chiusura delle torri, infatti, il rischio concreto è che si possa arrivare al blocco sia dei finanziamenti che dei 700 milioni stanziati da Eni lo scorso febbraio per la trasformazione e riconversione di alcune linee. Tanto che, nei giorni scorsi, sono già partiti i primi licenziamenti. Da qui l’origine della manifestazione, che ha visto la partecipazione anche dei principali esponenti sindacali.
Filippo Burla
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