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È tempo di lavoretti: cresce l’occupazione part time e diminuiscono i salari

by Salvatore Recupero
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Roma, 18 mar – Un tempo quando si parlava di lavoretti ci si riferiva ad un’attività svolta per lo più da studenti o da chi aveva bisogno di integrare il proprio stipendio. Pensiamo per esempio ai ragazzi che consegnano la pizza a domicilio o chi nei week end faceva il cameriere per potersi permettere una bella vacanza. I lavoretti, dunque non erano considerati come la fonte principale del reddito ma solo un modo di arrotondare.
Oggi le cose stanno diversamente. Assistiamo, infatti, da diversi anni ad un drastico calo delle ore lavorate che comporta una seria contrazione dei redditi dei lavoratori. L’ultima conferma è arrivata da uno studio della Fondazione Di Vittorio, che ha fatto una radiografia qualitativa dello stato attuale dell’occupazione, evidenziando come questo mix di precari e part time involontari abbia fatto schizzare la cosiddetta area del disagio oltre quota 4,5 milioni. Nel quarto trimestre 2017, le ore lavorate (dati conti economici ISTAT) sono ancora inferiori del 5,8% rispetto al primo trimestre del 2008 e le unità di lavoro sono il 4,7% in meno sempre relativamente allo stesso periodo. Si tratta di una diminuzione di 667 milioni di ore lavorate e di quasi 1,2 milioni di Unità di Lavoro in meno rispetto al primo trimestre 2008. Questo, nonostante l’occupazione attuale si sia molto avvicinata a quella del 2008 e che anche la CIG (cassa integrazione guadagni) sia tornata sui livelli di tale anno. “La nuova occupazione – si spiega nello studio – è sempre più part-time. Circa la metà dell’incremento delle assunzioni a termine registrato tra il 2015 e il 2017 (+1 milione 349 mila), infatti, è imputabile a rapporti a tempo parziale (+689 mila): nel 2015 le assunzioni con contratti a termine part-time sono state 1 milione 248 mila e nel 2017 sono salite a 1 milione 937 mila (+55,2%)”.
Un concetto chiave che viene introdotto in quest’analisi è la cosiddetta area del disagio. Si tratta degli occupati in età compresa tra 15 e 64 anni che svolgono un’attività di carattere temporaneo (dipendenti o collaboratori) perché non hanno trovato un’occupazione stabile (temporanei involontari) oppure sono impegnati a tempo parziale (anche autonomi) perché non hanno trovato un’occupazione a tempo pieno (part-time involontari). Purtroppo, l’area del disagio si allarga a macchia d’olio e già nei primi nove mesi del 2017 ha raggiunto il numero record di 4 milioni e 571 mila persone (di cui 2 milioni 784 mila temporanei involontari e 1 milione 787 mila part time involontari). Rispetto ai primi nove mesi del 2013, nell’arco degli ultimi 4 anni, l’aumento dell’area è stimato nell’ordine di 465 mila persone, pari a +10,2%. Il tasso di disagio (rapporto tra l’area del disagio e la totalità degli occupati in età 15-64 anni) è in sensibile aumento dal 2013 e nel 2017, dopo una modesta flessione circoscritta al 2016, si è attestato al 20,4% (media dei primi tre trimestri dell’anno). Chi vive questa situazione percependo un reddito insufficiente per poter avere un degno tenore di vita è in balia di quei lavoretti che gli consentono di arrotondare. Un circolo vizioso che deve essere stroncato sul nascere.
Per ribaltare questa situazione è necessario agire su due fronti: quello del diritto del lavoro e quello della politica industriale. In primis, dunque, non potendo frenare l’avanzata della sharing economy, è necessario garantire ai lavoratori che operano in questo settore il massimo delle tutele. Non si capisce, infatti, perché chi consegna il cibo debba essere meno tutelato di chi fa l’impiegato. In secundis, l’Italia deve dotarsi di una vera politica industriale affiancata da mirati investimenti pubblici. Solo così si possono creare le basi per un’occupazione di qualità.
Salvatore Recupero

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5 comments

Cesare 18 Marzo 2018 - 12:39

Quando tutta la ricchezza di un paese và a pagare chi crea il denaro dal nulla in forma privata, questo è quello che succede.
Creazione primaria; BCE che è privata stampa denaro a costo zero ma guarda caso lo puo’ dare per statuto solo alle banche a tassi quasi nulli e non agli stati che invece arricchiscono le banche sempre private pagando interessi reali alti.Cio’ avviene perchè si sono indebitati apposta gli stati che non essendo in grado di ripagare alla scadenza dovrà svendere con urgenza beni reali per chiudere il debito
Creazione secondaria; Le banche oramai tutte private ricevono un deposito in contanti da un risparmiatore di 2.Avendo una riserva obbligatoria in contanti del 2% possono presatre 100, creando dal nulla 98.E i pennivendoli traditori che hanno abusato della credulità popolare per lauti stipendi, ci dicevano nel 1992 che le banche pubbliche andavano privatizzate, come è avvenuto, perchè lo stato era un gestore inefficiente e magari perdeva(!!!) ad avere la proprietà di macchine per produrre soldi!!!
Quando c’erano le banche pubbliche un imprenditore poteva avere un finanziamento sulla fiducia anche perchè il sistema economico nazionale funzionava non essendo soggetto ad usura straniera; oggi se non ha beni collaterali di valore molto superiore alla cifra richiesta, viene messo alla porta!!

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paolo 18 Marzo 2018 - 4:39

Tutto vero’ cio che affermi Cesare , unico dato è che il sistema bancario usa il risparmio in leva 1/10 non 1/100 ma il concetto non cambia purtroppo .
Sono convinto che da questa situazione c’è un solo modo di uscire e non sono le elezioni purtroppo …….

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Cgia: più tasse e meno spesa sociale, 18 milioni di italiani a rischio povertà 25 Marzo 2018 - 9:34

[…] o finte collaborazioni che celano un rapporto di lavoro con il vincolo della subordinazione. Nonostante l’alto tasso di disoccupazione lavorare a volte non basta. La sottoccupazione è a livelli preoccupanti come denuncia la stessa Banca Centrale Europea. […]

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Foodora: la “mancia” di Boeri per i lavoratori della sharing economy 13 Maggio 2018 - 10:26

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