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Meloni: “Nuovo Patto di stabilità miglior accordo possibile”. Ma non è così

by Alberto Celletti
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Roma, 25 gen – Giorgia Meloni difende l’accordo sul nuovo Patto di Stabilità in Parlamento, come riporta l’Ansa.  Lo definisce il “miglior accordo possibile alle condizioni date”. Considerando che i nuovi parametri sono ancora più stringenti dei vecchi, dobbiamo dedurre – ironicamente – che il miglior accordo possibile prevedeva un peggioramento generale della situazione.

Meloni sul Patto di Stabilità

“Quelle approvate sono le regole che avremo scritto? No. È l’intesa migliore possibile alle condizioni date, sì. Quando ti presenti al tavolo delle trattative con un deficit al 5,3% causato soprattutto dalla ristrutturazione gratuita delle seconde e terze case e chiedi maggiore flessibilità è possibile che qualcuno ti guardi con diffidenza. E se noi, nonostante l’eredita pessima abbiamo portato a casa un buon compromesso è perché in un anno abbiamo mostrato che la stagione dei soldi gettati al vento per pagare le campagne elettorali è finita”. Punta sul superbonus edilizio abolito, Meloni, per difendere l’accordo sul nuovo Patto di Stabilità. E lo fa puntando su un aspetto contestuale, ignorando completamente la questione generale.

“Quando ti presenti con un deficit al 5,3%” è una frase che non ha molto senso in termini storici. La condotta dell’Italia in questi trent’anni sui parametri di Maastricht è stata quasi sempre ligia, tranne che nel 2009 e negli anni di Covid e post-Covid. Ciò nonostante, il debito non è mai sceso, se non di qualche quisquiglia in anni del tutto eccezionali, e non ha migliorato affatto la nostra posizione sui mercati e sulla possibilità di spendere.

Semplicemente, non è vero

A sentire Meloni sembra quasi che il nuovo Patto di Stabilità sia migliore del precedente, nonostante il presidente del Consiglio ammetta che non sia stato l’optimum rispetto a ciò che voleva e chiedeva l’Italia. Ma non è così. La deroga sugli investimenti nel conteggio non c’è stata (come chiedeva il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti), limitatasi esclusivamente al settore della Difesa (e quindi in praticamente nulla che riguardi lavoro, occupazione e crescita). E soprattutto, la richiesta di conteminento del deficit e i relativi tagli sono diventati strutturali. Certo, dal 2027 in poi, considertata la fase transitoria sugli interessi ma si guarda al lungo periodo, non certo a domani mattina. I Paesi come il nostro, con un rapporto deficit/Pil oltre il 60%, riceveranno una bella mazzata dal nuovo Patto, visto che dovranno concordare con la Commissione un piano di risanamento della durata dai 4 ai 7 anni e dovranno, quando superano il tetto del 3% (immutabile, inscalfibile come un Totem) mantenere una regola di rientro automatico medio annuo dello 0,5%. Tutto ciò si traduce nella necessità ancora più strutturale di tagliare, di tassare e di togliere denaro all’economia. Non c’è nessun miglior accordo, e del riconoscimento di “avremmo voluto di meglio” ce ne facciamo ancora una volta poco.

Alberto Celletti

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